La buena onda di Favara: arte ed emigranti di ritorno Cultura, tradizione e linguaggi moderni per la rinascita

Signora, quello che sta preparando è tè artigianale? «Sì, facciamo anche il latte di mandorla: come una volta». Come una volta, in una Favara nuova. «Sparkling», frizzante, la definisce Andrea Bartoli, notaio che, con la moglie Florinda Saieva, si è inventato un «centro culturale di nuova generazione»: Farm Cultural Park. Si trova ai sette cortili. Un luogo di pellegrinaggio per gli appassionati di arte contemporanea, ma anche per i turisti che hanno appena visitato la Valle dei Templi, ad Agrigento. 

Buon compleanno, Andrea: sono già cinque anni. «E noi siamo sempre in corsa: vivi, orgogliosi e un po’ affaticati. Siamo consapevoli di essere privilegiati: viviamo ancora la dimensione del sogno e della speranza. Beatles o Rolling Stones, Pelè o Maradona, Templi o Farm Cultural Park? «Rolling Stones, Pelè e, ovviamente, Farm». Tanti progetti, e in particolare il Children Museum, «luogo – lo definisce – in cui bellezza e cultura si estrinsecano in ogni forma espressiva; dove bambini, adolescenti e giovani possono giocare ed imparare ad essere cittadini, etici e lungimiranti. Per cambiare il mondo». 

Andrea rimane nello spazio Nzemmula, grande cucina dove oggi si offrono piatti di pasta ai visitatori. In piazza c’è Carmelo Nicotra, figlio di una sarta, web-commerciante di papillon, pittore. Ha fatto una ricerca antropologico-statistica sul lutto in Sicilia, e adesso espone in tutta Italia. Si arriva a Palazzo Cafisi, dove stanno lavorando Giuseppe Agnello, scultore già autore della statua di Sciascia a Racalmuto e di Camilleri a Porto Empedocle, e Agnese Giglia, designer. Quest’ultima sta preparando la prima rassegna del design siciliano, che conta quattro aree: aziende, ricerca, associazioni, editoria. Sulla terrazza si organizza un aperitivo a base di libri. «Le risorse arrivano dalla capacità di poche persone con voglia di fare, a prescindere dalle qualità artistiche e scientifiche. Occorre cambiare la testa della gente», spiega Agnello che espone un paesaggio, Terra e Moto, dove i boccioli simboleggiano la rinascita. «Sto contribuendo a Rudere project, contro la scomparsa dei nostri comuni, per fermare l’esodo: Favara ne è esempio tangibile».

Anche al sindaco della cittadina dell’Agrigentino piace l’arte contemporanea, «rappresenta il sentire di una comunità», dice. Sasà Manganella è in scadenza di mandato. «Abbiamo appena ottenuto un finanziamento per un percorso sull’arte contemporanea che attraversa il centro storico di Favara; ho nominato esperto per il Castello di Chiaramonte proprio Andrea Bartoli». Il percorso si snoda tra Farm, il Castello, il fondo antico del Barone Mendola, la Rocca Stefano, la villa romana. Si ricandida? «No. Fare il sindaco è bello e la politica è la più nobile delle arti, ma io sono stanco», ammette il primo cittadino che si definisce «uomo di partito, del Pd (anche se non ho la tessera)».

A due passi dal municipio c’è un locale, appena inaugurato. Si tratta di Officine MAC (musica, arte, cibo), i titolari sono due cugini. Gianni viveva a Perugia e lavorava alla locale Asl, mentre Pietro faceva il cameriere a Londra. Adesso, richiamati dalla buena onda favarese, hanno deciso di investire sulla propria terra. È in un palazzo del 1840, e negli anni ’70 era un circolo ricreativo. «Qui ci si divertono i giovani di oggi: sia chi è stato fuori e ha deciso di ritornare, sia chi è sempre stato qui ma partecipa alla rivoluzione sociale in atto». Che farete? «Faremo cucina tradizionale rivisitata, iniziative culturali e musica internazionale. A proposito, con noi lavora Reza, ragazzo afgano che abbiamo assunto, sapendo la sua storia: viaggia fino a Patrasso a bordo di un camion, lì prova a nascondersi sotto i mezzi pesanti per traghettare ma viene sempre respinto, finché un autista messinese lo porta qui».

Favara è come dovrebbe essere tutta la provincia di Agrigento, la Sicilia intera. Si respira aria turistica, si produce, e si fa festa quando ci si riposa. Ci si dovrebbe sforzare di essere come questa città, come Agnese e Giuseppe, come il latte di mandorla: tradizionali, ma con un linguaggio innovativo. «Come una volta».  


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