Palermo è ancora scossa dalla tragica morte di Paolo Taormina: alle domande sulla sicurezza e la legalità, lo Stato risponde con l’istituzione di zone rosse e maxiblitz allo Zen. Ancora una volta, infatti, il quartiere di San Filippo Neri si trova al centro delle cronache perché è lì che è cresciuto Gaetano Maranzano, l’assassino di […]
Bene confiscato alla mafia
Dall’odio verso lo Zen ai ritardi delle istituzioni: «Da 8 mesi aspetto il bene confiscato per farne un rifugio»
Palermo è ancora scossa dalla tragica morte di Paolo Taormina: alle domande sulla sicurezza e la legalità, lo Stato risponde con l’istituzione di zone rosse e maxiblitz allo Zen. Ancora una volta, infatti, il quartiere di San Filippo Neri si trova al centro delle cronache perché è lì che è cresciuto Gaetano Maranzano, l’assassino di Paolo Taormina. Come anche i tre autori della strage di Monreale. Un luogo dove, tra chi si disinteressa e chi criminalizza, c’è chi prova a lavorare dal basso. Ma si scontra con le istituzioni che non sempre danno una mano e, spesso, non fanno neanche il loro lavoro. Come riassegnare alla collettività i beni confiscati alla mafia. Ne sa qualcosa Valerio Riccobono, il ventenne presidente dell’associazione Il rifugio della libertà, che aspetta ormai da mesi un cenno dello Stato.
L’odio mediatico verso lo Zen
«L’ultimo fatto di cronaca ha sconvolto, ancora una volta, la coscienza degli abitanti onesti del quartiere. Di coloro che lavorano e non delinquono come l’assassino di Paolo – commenta a MeridioNews Riccobono -. C’è tanta rabbia nel quartiere perché, se guardiamo i profili social di Maranzano, è chiaro che si tratta di un criminale. Non è un ragazzo che ha trovato una pistola, ha sparato e si è pentito. Lui ha agito senza pietà». Una differenza non da poco, per Riccobono. E che, per il giovane, dovrebbe stare alla base di qualunque ragionamento sulla sicurezza a Palermo, senza confinarla allo Zen. Dove vivono «cittadini onesti che, per l’ennesima volta, si ritrovano oggetto di un’ondata di odio mediatico soltanto per il fatto di abitare allo Zen. Anche se lavorano e rifiutano l’illegalità». Una provenienza che diventa marchio: «Ma non è lo Zen, in sé, a formare criminali – precisa Riccobono – . È lo Stato che non fornisce agli abitanti delle periferie gli strumenti per uscire da quella strada facile: la delinquenza, lo spaccio, l’omicidio».

Le responsabilità istituzionali
Non soltanto gli abitanti dello Zen, ma anche amici e familiari di Paolo Taormina puntano il dito contro le istituzioni. Ritenute colpevoli di non aver alzato la guardia dopo la strage di Monreale, nonostante da più parti fossero arrivate richieste di interventi più decisi. «Lo Stato è colpevole di aver dato l’opportunità a questi giovani di costruire una nuova classe dirigente criminale, spietata – continua Riccobono -. Parliamo di un soggetto che, dopo aver ucciso, è andato a bere una birra, poi è tornato a casa e ha fatto un TikTok con l’audio di Totò Riina in sottofondo. Mentre aspettava che i carabinieri andassero a prenderlo». Per il giovane a attivo abitante dello Zen, l’omicidio di Taormina si poteva prevenire: «Monitorando Maranzano e gli altri membri della sua famiglia, notoriamente legati alla mafia».
Il progetto Liberi di scegliere
Uno strumento concreto, utilizzato adesso anche nei confronti della famiglia di Maranzano, esiste. Ed è nato in Calabria qualche anno fa, con l’obiettivo di aiutare i giovani che vivono in contesti di criminalità organizzata di stampo mafioso ad affrancarsi da un progetto di vita di tipo criminale. Si tratta del progetto Liberi di scegliere che, nel 2020, è diventato un protocollo interministeriale, adottato in Sicilia nel 2024. In virtù di questa normativa, la procuratrice per i minori Claudia Caramanna ha disposto in via d’urgenza l’allontanamento della figlia e della moglie di Maranzano, collocate in una struttura sicura e segreta.
E si lavora, intanto, anche alla decadenza della potestà genitoriale nei confronti dell’omicida di Paolo Taormina. «Questo è già un passo avanti per riuscire a salvare i figli e le figlie di queste famiglie criminali, che non hanno nessuna colpa – chiarisce ancora Valerio Riccobono -. Mi dispiace, in questi giorni, aver letto dei messaggi molto brutti sulla figlia di Maranzano, che non ha nessuna responsabilità nell’avere un padre criminale. È giusto, invece, che lo Stato si attivi per dare delle opportunità ai bambini che nascono in questi contesti». Coltivando la sicurezza con la prevenzione, a partire dallo Zen e per tutta Palermo.
Beni confiscati non ancora consegnati
Non la stessa fortuna hanno invece altri progetti, nati dal basso in contesti difficili. Da coloro che cercano di avviare un cambiamento e non sempre vengono agevolati. «Il Rifugio della libertà ha ottenuto dal Comune di Palermo una villa confiscata alla mafia, ai margini del quartiere Zen, ma da otto mesi aspetto che si concluda l’ultima fase del progetto», racconta amaramente Valerio. Un’occasione, finora, mancata, di dare vita a «un rifugio per quei ragazzi e quelle ragazze che vogliono trovare un’alternativa e formarsi – spiega il presidente dell’associazione -. Abbiamo previsto un rifugio per animali e dei corsi di formazione, ma siamo fermi perché ancora le istituzioni devono approvare il progetto definitivo del bene confiscato. Siamo, quindi, davanti a uno Stato che dice di essere presente, ma in realtà non lo è. Perché non fornisce gli strumenti a chi vuole lavorare sul territorio legalmente».