Le parole del presidente della Corte d'Appello di Palermo durante la cerimonia sono state lette come un chiaro riferimento al caso del pm Nino Di Matteo, per il quale i cittadini chiedono da tempo misure di sicurezza più valide. Una preoccupazione a cui, secondo Marino, si accompagna invece «l'indifferenza e la protesta nei confronti dei magistrati giudicanti»
Polemica all’inaugurazione dell’anno giudiziario Marino: «L’attenzione verso i pm isola i giudici»
Una cerimonia fatta da dichiarazioni infuocate e anche infortuni quella che oggi si sta tenendo alla Corte d’appello di Palermo per l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Protagonista indiscusso della giornata Ivan Marino, presidente della Corte, che attraverso la sua relazione apre una polemica a distanza sul protagonismo dei pubblici ministeri. Oltre a questo, durante la pausa il presidente è caduto, ferendosi alla testa.
Le frasi di Marino sono state lette come un chiaro riferimento al caso relativo alle misure di sicurezza predisposte nei confronti del pm Nino Di Matteo, il sostituto della Procura della Repubblica componente del pool che sostiene l’accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia, contro cui Cosa nostra avrebbe progettato un attentato secondo le dichiarazioni di un recente pentito. Parole, quelle del presidente della Corte d’Appello, che non hanno ricevuto al momento nessuna risposta da parte dei pm antimafia di Palermo. Compreso Di Matteo che ha opposto un no comment.
«Si sta verificando – afferma Marino – la stessa identica situazione degli anni ‘80, allorché la protezione era garantita per lo più, se non esclusivamente, ai magistrati facenti parte dei pool antimafia dell’ufficio istruzione e della procura, con indifferenza verso la situazione della giudicante, con la conseguenza che bastò un solo episodio criminoso che la riguardasse per porre in crisi lo Stato, che dovette dall’oggi al domani garantire la massima protezione non soltanto ai magistrati ordinari, ma anche ai giudici popolari».
Marino stigmatizza la partecipazione nei confronti dell’accusa, da parte della società civile, anche a scapito dei togati giudicanti. Occorre, secondo il presidente, «la dovuta attenzione affinché tale opera non guardi esclusivamente al momento repressivo dell’organizzazione criminale ovvero sia in favore soltanto della pubblica accusa con, talvolta anche plateali, manifestazioni di protesta nei confronti della giudicante, rea soltanto di avere appunto giudicato in base agli elementi di accusa presenti nel processo, spesso insufficienti. Si deve tenere presente e chiaro il concetto – ribadisce – che dietro ogni assoluzione vi è quasi sempre una carenza da parte degli organi investigativi e requirenti che propugnano delle tesi accusatorie che, però, devono tradursi in una affermazione di responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio e fondata esclusivamente sulle prove».
Francesco Fiandaca, professore ordinario di diritto penale dell facoltà di Palermo ha così commentato le affermazioni di Ivan Marino. «Mi sembrano delle dichiarazioni generiche ed incomprensibili. Non mi pare che si possa parlare di disparità di trattamento tra i pubblici ministeri ed i giudici».