Il mito di Orfeo (dalla parte di Euridice)

«E’ uno spettacolo tosto, però alla fine se ne esce appagati». Con queste parole il regista Antonio Calenda, in un incontro tenutosi ai Benedettini nell’ambito di “Doppia scena” (il ciclo di incontri sul teatro organizzati dallo Stabile in collaborazione con le facoltà di Lettere e di Lingue), ha descritto la sua ultima fatica, Lei dunque capirà, che è stato in scena al teatro Musco fino a domenica scorsa. Lo spettacolo rientra nel cartellone di “NuovoTeatro”, la rassegna che lo Stabile catanese dedica agli autori contemporanei.

Lei dunque capirà è un intenso atto unico di Claudio Magris, nel quale si ripercorre in modo attuale ed emozionante il mito di Orfeo. Sono stati in molti gli autori che hanno ripreso il mito: da Dante a Petrarca, da Poliziano a Shakespeare, da Valéry, Cocteau a Anouilh, da Calvino a Pavese. E anche il cinema se ne è spesso occupato, a cominciare dall’Orfeu negro di Marcel Camus. Ma l’attenzione è stata sempre rivolta ad Orfeo, mentre la sua amata Euridice ha di solito avuto un ruolo di secondo piano.

Magris capovolge l’impostazione tradizionale dando voce proprio alla donna, che ci trasporta in una dimensione sospesa tra vita terrena e ultraterrena e pone importanti interrogativi sul mistero della vita e della morte. Morte significa assenza e, come afferma Calenda, «il teatro di Magris è forte perché rappresenta sul piano ideologico una necessità del teatro, quello di essere sostanzialmente un’assenza. L’assenza in qualche modo è rappresentata dai morti o dalle persone che non ci sono più, entità che vengono evocate e che nel momento in cui si manifestano portano uno scompiglio esistenziale fortemente inquietante. Chi non c’è più c’è, appare concretamente e diventa giudice quasi invadente della realtà dandoci avvertimenti e allarmi».

Nel monologo l’entità che viene evocata è rappresentata dal Presidente, il quale sa tutto del cuore umano. Esiste da sempre, ma è invisibile e quasi inudibile. Unica presenza sulla scena è quella Euridice, interpretata da Daniela Giovanetti, attrice voluta dallo stesso scrittore: «Dopo aver visto Daniela recitare nel Re Lear di Skakespeaere, Magris scrisse quest’inedito monologo», ha raccontato ancora Calenda. Quella messa in scena da Magris è una moderna Euridice, dolce e forte, che narra la bellezza e la storia di un amore indissolubile che continua oltre la morte; una donna che rinuncia all’amore dell’amato pur di non rivelargli la realtà, vale a dire che il mondo reale non è altro che lo specchio dell’aldilà.

«Daniela con la sua caparbietà, con la sua insistenza a cimentarsi con questo testo che è diventato il punto di riferimento della sua esistenza è riuscita ad esprimere ciò che l’autore voleva dire», conclude il regista. Ed è la stessa attrice a spiegare il personaggio di Euridice, che nel testo di Magris si trova in una misteriosa Casa di Riposo inaccessibile al resto del mondo. L’unica sua occupazione è parlare con il Presidente: «E’ come se la parola rappresentasse l’ultimo spiraglio di vita da lei conosciuta, e lei è attaccata a ciò che conosce: ciò di cui ha bisogno è solo di parlare per rivivere e ricordare». Interpretare questo personaggio è faticoso, soprattutto per il fatto che sta fermo sulla scena: «E’ stato interessante fermare il corpo. Esso non vorrebbe, però è forzato a rimanere immobile. Questa fisicità anormale riesce a rendere bello, strano e lontano il personaggio, anche se rischia di suscitare fastidio nel pubblico». È anche per questa difficoltà che Daniela Giovannetti ha sentito «la responsabilità» nei confronti di questo personaggio. Responsabilità cui ha risposto con una «totale disponibilità ad intraprendere questo viaggio».


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