Le mani di Cosa nostra sui terreni agricoli nell’Agrigentino. Cinque persone già condannate per associazione mafiosa sono finite in carcere con le accuse di estorsione, illecita concorrenza con minaccia e violenza, aggravati dal metodo mafioso e di avere agevolato l’associazione mafiosa. Secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini è stato ipotizzato il «controllo pervasivo e la […]
Foto di Beansandsausages su Pixabay
Mafia dei pascoli ad Agrigento, le «minacce silenti» per controllare le campagne
Le mani di Cosa nostra sui terreni agricoli nell’Agrigentino. Cinque persone già condannate per associazione mafiosa sono finite in carcere con le accuse di estorsione, illecita concorrenza con minaccia e violenza, aggravati dal metodo mafioso e di avere agevolato l’associazione mafiosa. Secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini è stato ipotizzato il «controllo pervasivo e la gestione illecita delle attività agro-pastorali» nel territorio Santa Margherita del Belice, Montevago e Sambuca di Sicilia (in provincia di Agrigento) fino al confine con Contessa Entellina (nel Palermitano).
Stando a ciò che è emerso dalle investigazioni, gli indagati si sarebbero avvalsi della forza intimidatoria derivante dall’essere riconosciuti quali esponenti di vertice del mandato mafioso di Santa Margherita di Belice. In questo modo avrebbero attuato un incisivo controllo sull’economica agro-pastorale dell’area e sull’utilizzo dei fondi agricoli dell’entroterra belicino. In particolare, sono stati accertati diversi episodi in cui gli indagati avrebbero costretto i proprietari e i gestori dei terreni agricoli a cedere la disponibilità di ampie aree di terreno da adibire al pascolo abusivo del bestiame, imponendo il pagamento di canoni irrisori che, in alcuni casi, non sarebbero stati nemmeno corrisposti.
Il controllo dei terreni agricoli si sarebbe tradotto, in alcuni casi, anche in un divieto di esercitare attività agricole collaterali che alterassero il libero pascolo delle greggi, così imponendo di fatto uno stringente predominio su beni immobili altrui, anche funzionale alla massimizzazione dei profitti derivanti dalla produzione lattiero-casearia. «In tale ambito – spiegano gli investigatori – è stata registrata anche l’assenza di minacce esplicite, potendo gli indagati imporre la propria volontà facendo ricorso ad atteggiamenti intimidatori silenti, ai quali talvolta ha fatto eco la capacità di assoggettamento derivante dal loro riconosciuto ruolo criminale nonché i molteplici episodi di danneggiamento (incendio, taglio delle colture e furti di bestiame) – consumati da ignoti – subiti negli anni dai proprietari che avevano deciso di adibire i terreni a coltivazioni che avrebbero limitato il pascolo delle greggi».
Le indagini si sono avvalse anche delle dichiarazioni di alcune vittime che si sono opposte al «sistema di controllo» del settore, facendo emergere anche alcuni episodi in cui, all’esito della trebbiatura operata dai proprietari, le derrate sarebbero state indebitamente acquisite e imballate dagli indagati, senza versare alcun corrispettivo. Il provvedimento è stato notificato in carcere al boss Pietro Campo, 72enne ritenuto tra i fedelissimi di Matteo Messina Denaro che avrebbe incontrato negli anni scorsi durante la latitanza. In carcere sono finiti pure Giovanni Campo, 33 anni; Piero Guzzardo, 45 anni e Pasquale Ciaccio, 58 anni, anche lui già condannato in passato per mafia. Agli arresti domiciliari, invece, è stato sottoposto il 42enne Domenico Bavetta.