«Sul peculato na puonnu sucare»: Miccichè e i tentativi di tranquillizzare lo staff

«Stai tranquilla che sul peculato, proprio, na puonnu (ce la possono, ndr) sucare altamente». Così l’ex presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè, indagato per truffa e peculato per avere usato l’auto blu per fini privati, avrebbe tranquillizzato una delle sue collaboratrici preoccupata che, dopo la pubblicazione delle notizie sull’inchiesta sul pusher che riforniva il politico, l’attenzione degli inquirenti fosse concentrata sul suo impiego del veicolo. Gli investigatori avevano infatti ipotizzato che la cocaina fosse portata al deputato con l’auto di servizio.

«Ma non ci sono dubbi, ma dai! Ma dai, ma se solo ascoltassero tutte le volte in cui abbiamo fatto attenzione all’utilizzo della macchina, ma veramente spero che abbiano ascoltato le telefonate, te lo giuro, non facevo altro che dirglielo: “Mi raccomando, mi raccomando“», diceva lei. E Miccichè rispondeva: «Di più, infatti» . Ma per il giudice per le indagini preliminari la conversazione sarebbe un tentativo «maldestro di fare apparire come corretto l’utilizzo dell’auto di servizio che, in realtà, finisce per corroborare in via ulteriore la distrazione dell’auto, attuata in via prolungata».

In una conversazione precedente la stessa collaboratrice, parlando con il factotum del politico, diceva: «Non è che Maurizio (l’autista del deputato, ndr) può andare là (a Cefalù, ndr) a portare le farmacie, dobbiamo scordare questo sistema… Stanno indagando, è venuta la finanza in Ars e stanno facendo, a quanto pare, una verifica sull’utilizzo delle auto blu, cosa che avresti voluto tu alla fine della legislatura», avrebbe aggiunto la donna. Che ci fosse preoccupazione sull’indagine si coglie anche dalle conversazioni intercettate dell’autista di Miccichè, Maurizio Messina. Dialoghi da cui «cogliere agevolmente – scrive il gip – alcuni riferimenti retrospettivi al precedente modus operandi disinvolto di utilizzo della macchina». «Mi sono rotto i c…, finiu (è finita, ndr) l’America per tutti. Casa, chiesa e ufficio, non possiamo fare altro, finiù tutto quello che faceva prima. Magari qualche caz… in più. Taglio i ponti a tutti, mi siddiò (mi sono stancato, ndr)», sbottava Messina.

Secondo quanto ricostruito dal gip che ha disposto l’obbligo di dimora per l’ex presidente dell’Ars, Miccichè avrebbe avuto «una gestione arbitraria e del tutto personalistica dell’auto». Secondo il giudice per le indagini preliminari, il deputato avrebbe adibito il suo autista, dipendente dell’Ars «di volta in volta a conducente, a corriere, a portaordini, a trasportatore. Rimanendo nella propria residenza di Cefalù (e dunque nemmeno salendo a bordo dell’auto) – spiega il giudice – Miccichè disponeva che l’autista impegnasse più e più volte il tragitto PalermoCefalù per accompagnare il suo factotum o recapitargli due teglie di pasta al forno per il suo compleanno; per accompagnare la moglie o consegnargli un dispenser di sapone; per recapitargli un “bidone di benzina” o consegnargli un imprecisato cofanetto per portare il gatto dal veterinario o recuperare il caricabatterie dell’iPad.

«Così, nei 33 episodi – prosegue – è stata sviata la funzione istituzionale dell’auto, specie considerando che ogni viaggio comportava un impegno per almeno quattro ore (durata che, per come emerso in relazione agli altri capi di imputazione, consentiva all’autista di ottenere una retribuzione supplementare per l’attività effettuata). Non c’è da stupirsi – aggiunge il gip – allora, che l’autista in primis, specie nel periodo successivo al clamore suscitato dall’arresto dello chef Di Ferro, si dolesse per l’uso e l’abuso dell’auto blu, e per questo riflettesse sulla necessità di parlare a Miccichè e dirgli: “Presidente, amu a fari (dobbiamo fare, ndr) casa, chiesa e ufficio“». 


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