Biometano, il progetto che ha diviso ambientalisti e politica. L’accusa di conflitto d’interesse rivolta a Unict

Un metro cubo all’ora. Non è l’unico motivo della disputa, ma sta simbolicamente in questo il cuore della lite che da tre anni vede contrapposti i Comuni di Modica e Pozzallo e, con essi, imprenditori delle rinnovabili, parte del mondo ambientalista e un comitato di cittadini. La storia, in cui non mancano accuse di conflitti di interesse e la comparsa di personaggi su cui pendono pesanti ombre, ha al centro il progetto per la realizzazione di un impianto di produzione di biogas. Un tema, quello energetico, che oggi è centrale, complice da una parte la crisi seguita al conflitto russo-ucraino e dall’altra l’esigenza di procedere verso la decarbonizzazione, e attira attenzioni che un tempo avrebbero interessato soltanto gli addetti ai lavori.

A volere realizzare l’impianto è la Biometano Ibleo, impresa con capitale di 10mila euro amministrata da Michele Leocata. L’intenzione della società è quella di sfruttare circa 60mila metri quadrati in contrada Bellamagna, area che ricade formalmente nel territorio di Modica – da cui dista 12 chilometri – ma che di fatto si trova a poche centinaia di metri da Bosco Pisana, abitato che appartiene al territorio di Pozzallo. Ed è questo il motivo per cui il primo Comune ha, dal principio, sostenuto il progetto concedendo le autorizzazioni, mentre il secondo ha indetto una battaglia legale passata da un ricorso al Tar – con la formula ad adiuvandum – e da un ricorso straordinario al presidente della Regione, poi ritenuto inammissibile.

La prima causa, che ha visto come principali ricorrenti il Consorzio stradale Bellamagna-Zimmardo – soggetto che raduna i proprietari dei terreni della zona e che si occupa della manutenzione della strada che li attraversa – si è conclusa con una sentenza a favore della Biometano Ibleo. Sotto la lente dei giudici amministrativi c’era la presunta illegittimità del provvedimento rilasciato dal Suap del Comune di Modica. A dare alla Biometano Ibleo la possibilità di rivolgersi allo Sportello unico attività produttive, snellendo l’iter burocratico ed evitando di sottoporre il progetto alla valutazione d’impatto ambientale, è stata la capacità produttiva dichiarata dall’impresa: 499 metri cubi all’ora. Appena uno in meno rispetto alla soglia sopra la quale la normativa prevede un percorso autorizzativo più tortuoso. A tale rilievo si è aggiunto quello del mancato coinvolgimento della Soprintendenza – una dimenticanza che il Tar ha ritenuto sanata con un pronunciamento arrivato a conferenza dei servizi conclusa – e il fatto che, stando al Piano paesaggistico, ogni qual volta «i progetti comportano notevoli trasformazioni e modificazioni profonde del territorio» bisogna presentare uno «studio di compatibilità paesaggistico ambientale».

Per cercare di dirimere tali questioni – su cui domani si esprimeranno i giudici del Consiglio di giustizia amministrativa – il Tar aveva dato mandato all’Università di Catania di verificare, tra i diversi aspetti, anche se «possa escludersi il superamento della soglia immediatamente superiore dei 500 smc/h». Il dipartimento di Ingegneria elettrica, Elettronica e Informatica, con uno studio a firma del professore Giuseppe Mancini, ha stabilito «la sostanziale correttezza e plausibilità dei calcoli di produttività dell’impianto in base al piano di alimentazione previsionale» ma specificando comunque che, previsioni a parte, «la soglia di riferimento che fa da spartiacque sulla procedura autorizzativa è invece univocamente garantita dal sistema di controllo e misura (fiscale) quantitativa e qualitativa del biometano immesso in rete».

E se per il Tar il pronunciamento è servito a ritenere sufficiente l’ottenimento da parte di Biometano Ibleo dell’autorizzazione dal Comune di Modica, a mettere in discussione la effettiva capacità dell’impianto oltre i 500 metri cubi e l’opportunità di rivolgersi all’ateneo catanese è Rifiuti Zero Sicilia. Il motivo è rintracciabile scavando tra i documenti camerali di Biometano Ibleo. Il socio di maggioranza è Sviluppo Biometano Sicilia, di proprietà per metà di una società al cui interno c’è anche Snam e per l’altra metà di Giovanni La Via e Biagio Pecorino. Entrambi professori ordinari di Economia ed Estimo rurale nel dipartimento Agricoltura, La Via, in passato anche eurodeputato, è anche direttore generale di Unict. Ruoli che hanno portato l’associazione ambientalista a chiedere al Cga di ritenere nulla la verificazione chiesta dal Tar e affidare il compito a un soggetto terzo. Rifiuti Zero Sicilia ha contestato anche la decisione del Suap di Modica di non valutare l’assoggettabilità alla Via del progetto.

Attorno ai terreni di Bellamagna – zona non sottoposta a vincoli ma ritenuta apprezzabile dal punto di vista archeologico – nel recente passato si sono sviluppate tante storie. Tanti quanti gli interessi di chi, lontano dall’avere in mente una valorizzazione dell’area sul fronte paesaggistico e culturale, vorrebbe sfruttarla per attività che potrebbero stravolgerne il volto. Di questo è convinto Corrado Rizzone, uno dei firmatari del ricorso principale che poi ha deciso di proseguire la propria battaglia in autonomia. Possiede circa 70 ettari coltivati a ulivo e carrubo, molti dei quali secolari, ed è tra coloro che più tengono alla preservazione di Bellamagna. Una difesa che ha riguardato anche la sua proprietà, considerato che, a partire dal 2012, per motivi a oggi ignoti, gli alberi di Rizzone sono finiti letteralmente nel mirino di chi li ha danneggiati sparandogli contro con armi da fuoco o irrorandoli con diserbanti. Tutte vicende denunciate alle forze dell’ordine, senza però che gli esposti abbiano portato a qualcosa se non a provare che all’area di Bellamagna sono indifferenti in pochi.

Molto più recente e apparentemente in stretta connessione con il progetto biometano, è invece la vicenda che ha visto protagonisti Roberto Ammatuna e Rossana La Duca. Il primo è il sindaco di Pozzallo. Nella cittadina, il dibattito sulla possibile realizzazione dell’impianto negli anni scorsi è stato accesissimo, al punto da portare allo scioglimento del circolo di Legambiente, a causa dei dissidi tra chi reputava una minaccia al paesaggio la costruzione dello stabilimento e chi, in linea con la politica regionale dell’associazione, vedeva di buon occhio il progetto. Ed è nel corso di una delle tante riunioni svoltesi in paese che, nel 2020, si sarebbe palesata Rossana La Duca. La donna, 52 anni, nel 2017 è stata arrestata nel blitz Dirty Oil ed è attualmente a processo perché accusata di avere avuto un ruolo nell’ingente giro di contrabbando di gasolio che avrebbe visto protagonisti soggetti libici, maltesi e italiani, alcuni dei quali vicini alla criminalità organizzata.

A fare il nome di La Duca è stato il primo cittadino di Pozzallo, nel corso di un’audizione davanti alla commissione regionale Antimafia. «Mi viene a trovare per convincermi che la mia era una cosa sbagliata», ha messo a verbale Ammatuna a febbraio di due anni fa. «Vado in assemblea e questa signora si mette negli ultimi posti, io non la vedo, la vedono dei miei amici – continua Ammatuna – questa signora è collegata sempre al cellulare in collegamento con il responsabile legale di questa impresa che deve fare il biogas e relaziona con delle frasi ingiuriose nei miei confronti». Una presenza che il primo cittadino non avrebbe saputo motivare e che lo avrebbe turbato. Ai componenti della commissione Antimafia, Ammatuna ha detto che La Duca, all’epoca, gli avrebbe fatto presente di avere agganci al dipartimento dell’Energia, facendogli anche il nome di un dirigente. «Oggi facciamo una conferenza di servizio (in Regione, ndr) e – conclude Ammatuna – questa signora la trovo dietro la porta, non so a che titolo».


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