Il Cardinale Romeo: via i ‘Mercanti’ dalla politica siciliana

Che ci si senta appartenenti o meno alla Comunità Ecclesiale, le parole antiche e al tempo stesso profondamente attuali che il Cardinale Polo Romeo ha pronunziato ieri suonano come un anatema sulla politica siciliana, nel momento cruciale delle elezioni.

Le parole di Paolo Romeo sono quelle rigorose e ferme del Cardinal Federigo all’Innominato, sono quelle durissime di Mosè al Faraone, sono quelle indignate di Gesù Cristo ai mercanti del Tempio.

Un’accusa senza precedenti nella storia recente della Chiesa palermitana, parole a lungo attese e finalmente pronunciate da un Presule su cui si concentra da oggi l’attenzione di tutti i siciliani.

Paolo Romeo non ha proferito amorevoli inviti a governare meglio, non ha voluto esercitare prudente moral suasion per un generalizzato cambiamento della condotta della classe politica siciliana. I suoi riferimenti sono stati chiari ed inequivocabili nei confronti di una generazione di politici e di amministratori che ha ridotto la Sicilia ad un cumulo di macerie e su quelle macerie ancora fumanti si illude di esercitare gli ultimi spasmi di un potere perverso.

Nel 60° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II; l’evento che più di ogni altro ha caratterizzato la seconda metà del secolo scorso, il momento storico in cui la Chiesa si caricò l’Umanità sulle spalle come Cristo la Croce, un Principe della Chiesa, il Primate dei Vescovi siciliani ha emesso la sua condanna verso modi e mondi della politica siciliana cui mancava, solo formalmente, un lungo elenco di nomi e di cognomi.

Una condanna senza appello che, pur tuttavia, non esclude il perdono alle consuete condizioni della Dottrina Cattolica: il pentimento, la restituzione del maltolto, l’ammonizione ai colpevoli a non riproporre agli elettori i personaggi più discussi e il chiaro invito agli elettori a non cadere nella tragica trappola dello sterile astensionismo, orientando piuttosto il voto verso nuovi e più presentabili candidati in ogni lista..

Paolo Romeo ha rivendicato il diritto dovere della Chiesa di levare alta la propria voce contro l’ingiustizia, il malgoverno, la protervia, l’ignavia e ognuno dei vizi capitali che oggi sono rintracciabili nei soggetti politici che hanno governato la Sicilia e in coloro che li rappresentano.

Già nel documento prodotto alla vigilia delle elezioni comunali, “Una comune responsabilità per Palermo” la Chiesa aveva indicato le priorità, molto più seriamente di tanti sedicenti programmi politici, esordendo “ E’ proprio dell’esperienza della fede cristiana, infatti, farsi carico delle difficoltà e delle attese della comunità, partendo così dalla novità di vita introdotta dall’incontro con Cristo” ed esprimendo senza mezzi termini “l’incapacità degli amministratori locali di comprendere la reale gravità di tali problemi”.

E l’ammonizione era stata ancora più esplicita nell’invito a “prendere decisamente le distanze da quei soggetti che abusano e continuano ad abusare della politica” e a “rinnovare la nostra classe amministrativa”.

Il documento non mancò di aver il proprio effetto sulla disfatta delle forze che avevano devastato Palermo e sull’affermazione di un quadro politico decisamente alternativo, immediatamente avvisato, tuttavia, nel corso della tradizionale Celebrazione a Palazzo delle Aquile durante il Festino, a lasciarsi guidare dal motto che sul quel Palazzo risalta: Pereunt et Imputantur (Le ore passano e ti sono imputate). Come a dire: “Niente sconti per alcuno”.

Con le parole di ieri, la Chiesa rinnova la propria Missione in Sicilia e pronuncia il solenne e definitivo atto di congedo di quanti ancora in questi giorni sono disposti a qualunque compromesso, a qualsiasi illegalità, perché tutto rimanga com’è.

A noi basta già ora il conforto di un Pastore che – alla vigilia del Convegno Pastorale Diocesano dedicato ai Giovani che si aprirà il 12 ottobre – sentiamo ancora più vicino e che ha riacceso la speranza in un possibile riscatto della Sicilia, non più pigramente in attesa di essere liberata, come sempre, da attori – più o meno palesi – esterni ad essa, ma capace di riprendere nelle mani dei propri uomini e delle proprie donne migliori il futuro a cui ha diritto e di tracciare una definitiva linea di confine con i tempi bui che stiamo vivendo ormai da troppo tempo.

 


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