Il ‘caso’ Cuffaro e il ne bis in idem

Tredici anni di carcere per l’ex presidente della Regione siciliana, Totò Cuffaro. E’ questa la richiesta che il Pg, Luigi Patronaggio, ha rivolto al Collegio della Corte d’Appello presieduto dall’ex pubblico ministero presso il Tribunale di Palermo, Biagio Insacco.

Una richiesta piuttosto severa, che ha tratto spunto da documenti che forse andrebbero valutati un po’ meglio. Come, ad esempio, un’intercettazione ambientale di una decina di anni fa in cui il nome di Cuffaro non ci sarebbe, ma che in realtà ci sarebbe in virtù di una perizia controversa. Non è chiaro chi avrebbe svelato l’arcano, in ogni caso nessun contraddittorio per quel che si sa si è formato sul punto.

La richiesta di Patronaggio è volta a impressionare il Collegio. Il PG si rende conto di giocare una partita difficile. Chiedere 13 anni di reclusione in continuità nei confronti di un soggetto che ne sta già scontando sette per favoreggiamento aggravato, all’esito di un iter giudiziario alquanto travagliato (favoreggiamento semplice in primo grado, favoreggiamento aggravato in appello, PG in Cassazione che si pronuncia per l’annullamento della sentenza di appello, Cassazione che avrebbe deciso per la condanna non all’unanimità) in cui certo non può dirsi applicato il principio in dubio pro reo, è un po’ forte.

Ma Luigi Patronaggio non dispera. Gioca tutte le sue carte provando a sollevare argomenti suggestivi come tangenti, cliniche a Messina, rapporti con l’imprenditore Michele Aiello che Cuffaro non poteva non sapere essere mafioso. Siamo sicuri che di tutti questi fatti ci siano i riscontri oggettivi?

Alla fine, ecco il colpo di teatro. Patronaggio chiede che non si facciano sperequazioni, che non ci siano atteggiamenti di favore per l’imputato eccellente Cuffaro.

Ora, tutto si può dire di Cuffaro e del suo processo, tranne che sia stato trattato con occhio di riguardo. Anzi, forse la domanda di parità di trattamento potrebbe essere lui ad avanzarla.

Sapete, ad esempio, che la Cassazione ha considerato favoreggiamento semplice ospitare un latitante al vertice dell’organizzazione camorristica? Sapete quanti anni vengono comminati ai vivandieri dei latitanti dal Tribunale di Palermo e dalla Corte d’Appello? Sapete che Michele Aiello è fuori? Sapete che lo stesso intratteneva rapporti di frequentazione con un magistrato della Dda di Palermo con il quale andava a cena e dal quale si faceva ristrutturare la casa del padre? Sapete che questo magistrato, al cui pc aveva accesso il maresciallo Ciuro, quello condannato per il processo ‘Talpe’, giustamente non è stato indagato perché non poteva sapere che Aiello era un mafioso?

Sapete che Angelo Siino, il cosiddetto “Ministro dei lavori pubbici di Totò Riina”, non incontrò solo Cuffaro, ma anche un ex ministro della repubblica del centrosinistra, che non è mai stato né indagato né, tanto meno, criticato per questo?

Di fatto, Cuffaro rischia di essere processato due volte per gli stessi fatti dalla Procura della Repubblica che sulla configurazione del reato si era spaccata. Perché appellare la sentenza del Gup Anania e non tenere conto del principio del ne bis in idem, che costituisce anche un caposaldo dei diritti dell’uomo ( v. articolo 4 Protocollo n.7 alla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sancito a Strasburgo il 22.11.1984)?

Sul punto, il professor Giovanni Fiandaca, in un articolo pubblicato su www.dirittopenaleocontemporaneo.it ha affermato senza mezzi termini “Che impostazioni accusatorie come questa risultino palesemente abnormi invece proprio in base al divieto di punire due volte i medesimi fatti, a un operatore giuridico dotato di un senso minimo del diritto non dovrebbe per nulla sfuggire”.

Sono domande che tutti si pongono, ma che nessuno ha il coraggio di porre in pubblico. Cuffaro è stato uno degli uomini più potenti della Sicilia. Era l’espressione non soltanto di un blocco di potere – il centrodestra siciliano del ‘61 a zero’ – ma di un blocco sociale che oggi si è sfaldato.

La Giustizia italiana ha stabilito che Cuffaro ha sbagliato. Ed è giusto che paghi. Ma infierire su ci ha già perso non ci convince. Forse si vuole arrivare alla confisca dei beni dell’imputato? E poi, diciamolo con chiarezza: un secondo processo – che parte dagli stessi fatti del primo processo per arrivare a ipotesi di reato diverse – non rischia di farne un ‘martire’? Se finisse vittima di un ‘ingiustizia a essere sconfitto non sarebbe solo Cuffaro e la sua famiglia – che non dimentichiamolo sta pagando un prezzo altissimo – ma la credibilità della Giustizia.

Molti, ad esempio, pensano che la condanna di Cuffaro da parte della Cassazione abbia poi, per il meccanismo dell’alternanza, favorito l’annullamento della condanna di Marcello Dell’Utri. Ma sono pensieri che non possiamo condividere. Se così fosse dovremmo pensare che la Giustizia in Italia è una roulette russa. E non lo pensiamo.

 

Foto di prima pagina tratta da infiltrato.it

Foto sopra tratta da tg24.sky.it

 


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