Scuto, chiesta la confisca di tutti i beni A giugno il verdetto sul fondatore di Aligrup

La Procura generale di Catania ha chiesto la confisca dei beni dell’imprenditore Sebastiano Scuto, fondatore del gruppo Aligrup e condannato in Appello un anno fa a 12 anni per associazione mafiosa. Un patrimonio di diverse centinaia di milioni di euro – composto da beni immobili e quote societarie di proprietà anche dei famigliari più vicini – che è già sotto sequestro dallo scorso 15 maggio. Giugno sarà un mese importante: il processo per la misura di prevenzione davanti alla Corte d’Appello proseguirà il 25 giugno, quando la parola passerà alla difesa dell’imprenditore. Mentre il 4 giugno la Cassazione deciderà sul ricorso della difesa contro la condanna a 12 anni per associazione mafiosa.

La vicenda giudiziaria di Scuto è complessa e dura ormai da diversi anni. Nel 2010 viene condannato per la prima volta, in primo grado, per associazione mafiosa a 4 anni e 8 mesi. Le vicissitudini dell’imprenditore, oltre a condizionare la vita di circa cinquemila lavoratori – tra quelli della sua azienda, l’Aligrup, e quelli dell’indotto – ha anche segnato la storia di Catania, essendo stata al centro di numerosi intrecci politici e giudiziari. A cominciare dal cosiddetto secondo caso Catania. Dall’arresto di Scuto nel 2001 alla condanna in primo grado ci sono voluti nove anni, ma si è corso il rischio di non celebrare affatto il processo. Nel 2001 infatti la procura catanese aveva chiesto l’archiviazione per il re siciliano della grande distribuzione, respinta dal gip. L’inchiesta venne quindi avocata dalla procura generale etnea che rilevò «inerzia e mala gestio» nelle indagini dei magistrati. Secondo l’accusa, l’intermediario tra Scuto e Cosa Nostra era Carmelo Rizzo, curatore degli affari del clan Laudani. Lo stesso Rizzo da cui il magistrato Giuseppe Gennaro, al centro del caso Catania, aveva comprato casa secondo i colleghi che avevano sporto denuncia al Csm.

Dopo l’arresto, il gruppo Aligrup rimane per nove anni in amministrazione controllata. Solo nel 2010, l’85 per cento delle quote vengono restituite alla famiglia Scuto, mentre il restante 15 per cento viene confiscato. È in questo arco temporale che l’azienda, in mano allo Stato, priva dei canali preferenziali di cui avrebbe goduto, si indebita fino alla cifra di 150 milioni di euro. Il 18 aprile del 2013 la Corte d’Appello ribalta questa decisione del Tribunale di Catania e decide per una nuova confisca di tutti i beni, avendo riconosciuto Scuto colpevole di collegamenti con la mafia palermitana, in particolare con il boss Bernardo Provenzano. Ma il 18 giugno del 2013 il Tribunale del riesame ha annullato una parte del provvedimento del sequestro. Scuto si è sempre difeso, definendosi vittima di estorsione da parte di Cosa Nostra e ammettendo di aver pagato il clan per evitare ritorsioni personali.


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La procura generale ha chiesto che il patrimonio dell'imprenditore etneo passi definitivamente allo Stato. E' l'ultimo capitolo di una vicenda giudiziaria lunga e complessa, che si intreccia anche con il cosiddetto secondo caso Catania. Un anno fa la Corte d'Appello aveva condannato Scuto a 12 anni per associazione mafiosa. Dopo il ricorso della difesa, sarà la Cassazione a decidere

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