Mafia, i tentacoli del clan Cappello nel Siracusano Estorsioni, droga e l’allenza coi Bottaro-Attanasio

«Voialtri lo sapete il rapporto che c’è con Gianfranco e Alessio, siamo tutta una cosa». Una cosa sola a Catania e a Siracusa, nel nome del clan Cappello. A parlare così dei rapporti tra le famglie etnee e quelle siracusane è Massimiliano Salvo, ritenuto il numero uno della famiglia a Catania dopo l’arresto del padre e del fratello, per diretta volontà del boss Turi Cappello. E i due nomi che fa, riferendosi agli affari nel capoluogo aretuseo, sono quelli di Gianfranco Urso e Alessio Attanasio: il primo arrestato a maggio in un’operazione che ha smantellato un traffico di droga gestito dallo storico clan Bottaro Attanasio, il secondo in carcere al 41bis a scontare una pena di vent’anni perché di quel clan è ritenuto il vertice. Le ultime relazioni della Direzione investigativa antimafia fotografano il legame saldo tra i Bottaro Attanasio e i Cappello di Catania, grazie al quale questi ultimi hanno esteso la loro influenza su Siracusa. A confermarlo è anche la recente indagine Capolinea, della Dda di Caltanissetta sulle estorsioni subite da un imprenditore di Enna, attivo nei lavori per la fibra ottica, nel Catanese e nel Siracusano proprio a opera di presunti esponenti del clan Cappello. 

Protagonista è Calogero Giuseppe Balsamo, detto Pippo, 68enne catanese, arrestato a gennaio del 2017 nell’operazione Penelope della Dda etnea, e ritenuto il riferimento del clan Cappello in provincia di Siracusa, oltre che nei paesi del Catanese. Prima di entrare in carcere, l’uomo finisce anche nella rete degli investigatori nisseni che seguono i movimenti dell’imprenditore ennese vittima di estorsione, la cui identità rimane segreta. Che la fibra ottica debba essere passata a Catania, a Santa Maria di Licodia, a Noto, o ad Augusta, l’imprenditore, in un primo momento, sembra arrendersi all’idea che serva una messa a posto per evitare problemi alla sua azienda. E lascia l’incarico di trovare le protezioni giuste a Salvatore La Delia, già condannato per mafia, un socio speciale visti i compiti affidatigli, che percepisce 2.800 euro al mese. L’imprenditore lo definisce «il ministro degli esteri» della sua ditta, cioè quello che, spiegano gli inquirenti, «si rapportava con le organizzazzioni mafiose del luogo in cui svolgeva l’attività lavorativa».

Quando c’è da aprire cantieri a Palazzolo Acreide, Noto e Augusta, La Delia non ha dubbi e bussa alla porta di Calogero Giuseppe Balsamo. «Diddru fici dra picchi dra un c’è nuddru», dice La Delia volendo spiegare al titolare dell’impresa che Balsamo è riuscito a estendere la sua influenza fino alla provincia di Siracusa, perché lì «non c’era nessuno», mancava cioè una vera concorrenza di altre famiglie mafiose. Finiscono a lui, nel Natale del 2016, gli ottomila euro frutto dell’estorsione a danno dell’imprenditore ennese per i lavori nel Siracusano. Uomo dei Cappello attivo nella provincia aretusea, sarebbe anche l’ennese Eduardo Mazza, pure lui in carcere da venerdì scorso. Mentre successivamente all’arresto di Balsamo sarebbe stato Antonio Privitelli, originario di Caltagirone, a sostituirlo nel prosieguo delle richieste estortive. Come succede nel Natale del 2017, quando una nuova richiesta di pizzo arriva all’imprenditore della fibra ottica che stavolta non ci sta: «A mì – dice parlando con un suo dipendente – unn’hanu nenti chi dì, pirchì l’anno scorsu iì ci detti decimilaeuro, a Natale, e a mì, cò pattu, ca à mi a minchia umma rumpì chiù a vita. Ma mancu pì scherzu, i denunzio (l’anno scorso gli ho dato diecimila euro a Natale, a me, col patto, a me la minchia non me la devono rompere più a vita. Ma manco per scherzo, altrimenti li denuncio)». 

Balsamo nel Siracusano non sarebbe stato solo il referente delle estorsioni per conto del clan Cappello. Come emerge dall’operazione Penelope, prima di essere arrestato, era diventato il capo di un sottogruppo, sempre legato a Massimiliano Salvo e a Giovanni Catanzaro, che gestiva il traffico di stupefacenti, oltre a detenere – annotano gli inquirenti – «il capillare controllo criminale del territorio, pure attraverso azioni di forza realizzate anche mediante l’uso di armi da fuoco». A Siracusa in particolare Balsamo aveva provato a differenziare le sue attività, investendo anche nei supermercati, attraverso dei prestanomi: la nuova compagna Michela Indomenico e il figlio di lei Giovanni Linares a cui erano intestate le società Indomestic srl e B&G srl, sequestrate nel gennaio del 2017. È lo stesso Balsamo, parlando con la donna, che parla di un giro di affari, relativo al suo gruppo, da «350-400mila euro al mese».


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