«I miei nipoti uccisi in Egitto per rubargli gli organi» Business sui migranti, timore per minori scomparsi

«Io gliel’avevo detto di non partire insieme ai bambini, di lasciarli dai suoi genitori, ma per lei era troppo grande il desiderio di venire in Italia insieme ai suoi figli». Mentre parla, Semira, nome di fantasia, scorre sul suo smartphone le foto dei suoi nipoti. Uccisi in Egitto – insieme a un’altra donna – prima di imbarcarsi per la Sicilia, squartati da trafficanti senza umanità, derubati degli organi, ricuciti alla buona e lasciati su una spiaggia del Paese nordafricano. «Vivevano in Kenia, il più piccolo aveva due mesi, il più grande un anno e mezzo, la stessa età di mia figlia – racconta Semira, giovane somala che vive in Sicilia da due anni -. Con loro c’era anche un terzo bambino di sei anni, che è riuscito a mettersi in salvo con la mamma». Sono stati altri migranti, compagni di viaggio dei fratellini dilaniati, a fotografare i corpi e a inviare le immagini al papà, cugino di Semira. «Tramite l’ambasciata keniana in Egitto è riuscito a far rientrare le salme – continua la donna -. Prima però, in ospedale, hanno accertato che gli avevano tolto gli organi».

La storia raccontata a MeridioNews da Semira ha trovato spazio sui media africani lo scorso aprile. Ma è solo uno dei moltissimi casi di migranti uccisi per incrementare il ricchissimo mercato della vendita illegale di organi. Un business che – come riporta in una recente inchiesta La Repubblica affidandosi a una stima della Global Financial Integrity, la fondazione statunitense tra i più importanti centri mondiali di analisi sui flussi finanziari illeciti – vale 1,4 miliardi di dollari all’anno. Sarebbe illegale circa il 10 per cento dei 118mila trapianti che annualmente si fanno a livello mondiale. «L’Egitto è il Paese dove questi trafficanti agiscono di più e su cui abbiamo raccolto più denunce, ma bisognerebbe approfondire anche la situazione in Sudan e in alcuni Paesi dell’Africa occidentale». A parlare è don Mussie Zerai, sacerdote eritreo che vive a Roma da 24 anni. Con la sua agenzia Habeshia, fornisce ai rifugiati assistenza legale, orientamento e aiuto. 

«Siamo venuti a sapere di uccisioni per espianto degli organi a partire dalla fine del 2009 – spiega -, da molto più tempo questo traffico riguarda i quartieri poveri del Cairo, ma fino a quel momento non sapevamo che avesse preso di mira anche i migranti in transito da quelle parti. Abbiamo raccolto testimonianze secondo cui persone bisognose vengono avvicinate e gli viene offerto di cedere un rene a 10-20mila euro. Per poi essere rivenduto a molto di più in alcuni Paesi ricchi». Ma con l’incremento del flusso di migranti, i donatori costretti si sono moltiplicati, anche a costo di togliergli la vita. «Tra il 2009 e il 2013 sono state uccise tremila persone solo nella penisola del Sinai (al confine tra Egitto e Israele ndr) – continua don Zerai – molti di questi venivano prelevati vivi, squartati, ricuciti alla meglio e lasciati morire nel deserto. L’espianto avviene dentro camper allestiti ad ambulanza o mini ospedali, grazie a medici compiacenti che vengono dalle città». 

Una macabra prassi che ha coinvolto anche i nipoti di Semira. «Hanno usato come scusa che uno dei bambini piangeva troppo – racconta la donna somala -, lo hanno buttato giù dal mezzo su cui viaggiavano. Le foto che hanno scattato altri migranti sono poi state pubblicate su un giornale africano». «Quanti corpi saranno seppelliti sotto la sabbia del deserto! – riflette don Zerai – E l’Occidente sa perché bravi giornalisti, soprattutto americani e inglesi, hanno documentato questo orrore». Proprio gli Stati Uniti sono uno dei Paesi dove gli organi arrivano a destinazione. «Gli Usa, Israele e i Paesi del golfo persico. Sono questi i mercati finali – spiega il sacerdote -, sono indicati anche nei report del dipartimento di Stato americano. Qualche anno fa negli Stati Uniti sono stati arrestati alcuni trafficanti di organi che facevano la spola tra Il Cairo e New York».

Non è stata solo una parte della stampa a rendere testimonianza. Ci sono anche le denunce dell’associazione Habeshia e quelle di pochi migranti che, giunti in Europa, hanno avuto il coraggio di rivolgersi alle istituzioni, senza però ottenere risposte concrete. «Abbiamo denunciato in tutte le sedi istituzionali: dal parlamento italiano a quello europeo – sottolinea don Zerai -, hanno provato a fare qualcosa con molta fatica, ma non mi sembra che si siano sforzati più di tanto. Anche in Italia abbiamo accompagnato qualche rifugiato dalla polizia per denunciare, ma la maggior parte delle volte ci è stato risposto che non potevano fare niente perché il reato non era stato commesso in territorio italiano». 

Nei mesi scorsi Nuredin Wehabrebi Atta, il primo pentito della rete internazionale che si occupa del traffico di migranti dall’Africa, ha riferito ai magistrati di Palermo di notizie simili: «Mi è stato raccontato che le persone che non possono pagare vengono consegnate a degli egiziani, che li uccidono per prelevarne gli organi e rivenderli in Egitto per una somma di circa 15mila dollari». Al momento non ci sono notizie o testimonianze che dimostrino che questo business abbia ramificazioni anche in Sicilia. Ma c’è un dato che inquieta chi si occupa di questi temi. È il numero di minori stranieri non accompagnati scomparsi: cinquemila solo in Italia tra il 2014 e il 2015. Di questi quasi duemila hanno fatto perdere le proprie tracce in Sicilia. «Siamo molto preoccupati, perché una parte può finire nelle mani di trafficanti di organi», denuncia don Zerai. 

Cosa fare dunque per provare ad arginare il fenomeno? «Seguire i flussi di denaro per prima cosa – risponde sicuro – lo abbiamo detto all’Europol, seguite i trasferimenti che vengono fatti dall’Occidente ai Paesi a rischio. E poi creare un sistema di protezione nei Paesi di transito: in Sudan, Niger o Ciad sono sorti immensi campi profughi dove vivono 20-30mila disperati, un bacino perfetto per i trafficanti che vanno lì a pescare le loro vittime. Infine – conclude il sacerdote eritreo – servono corridoi umanitari, canali legali per emigrare, visti di ricongiungimento più facili. Se fosse così, queste persone non sarebbero così disperate da rischiare di finire nelle mani di questi mercanti di morte». 


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