Virginia ha 26 anni e ogni mattina va con i bus Amt a lavorare. Una scelta obbligata, considerato che le hanno rubato l'auto in pieno centro storico «con tanto di ticket Sostare sul cruscotto», dice. Ed elenca le criticità che riscontra negli spostamenti con i mezzi pubblici verso la periferia cittadina
Zona industriale, disservizi e autobus fantasma «Forse per salvare la città servono i supereroi»
«Catania è una città in cui è facile venire derubati, qui il problema della criminalità risale forse al periodo dei dinosauri ed è facile ritrovarsi privati, in una notte qualsiasi, della propria auto regolarmente posteggiata sulle strisce blu notturne. Tanto utili secondo l’amministrazione comunale per combattere il male rappresentato dai posteggiatori abusivi. Problema per cui, ne sono ormai convinta, bisognerebbe rivolgersi a Batman o a qualche altro supereroe dei fumetti». Scrive così – tra denunce e toni ironici – la 26enne catanese Virginia Zuccaro in una lettera di sfogo inviata alla redazione di MeridioNews. La ragazza – laureata in Economia aziendale e assunta lo scorso febbraio in un’azienda che si occupa di rifiuti – racconta l’odissea che affronta ogni giorno per andare a lavorare alla Zona industriale da quando le hanno rubato la macchina – di venerdì sera, in pieno centro storico e con tanto di biglietto Sostare sul cruscotto -, privandola non solo del mezzo ma anche della libertà di spostarsi come e quando ritiene opportuno.
«Se prima ti trovi a interpretare un oracolo qualunque per capire quale fila troverai in tangenziale – scherza Virginia – il giorno dopo ti trovi magicamente a chiederti come ci arriverai, o meglio: come arriverai a lavoro». Ma la ragazza non si perde d’animo e da vera habitué di metropolitana e autobus decide di raggiungere quella che definisce «la terra di nessuna amministrazione con i mezzi pubblici». E crea insieme ai colleghi la pagina Facebook Salviamo la zona Industriale. «L’idea, oserei dire quasi britannica, – spiega – era quella di prendere un biglietto Amt da 90 minuti e arrivare a lavoro in autobus, accettando di svegliarmi alle 5.30 per riuscire a giungere sana e salva al mio posto di lavoro».
A sua disposizione per «il viaggio della speranza» tre linee: 244 o 237 per arrivare fino al piazzale Sanzio, 2-5 per raggiungere da lì piazza Borsellino e infine 439 per l’ultimo tratto fino alla 20esima strada della zona industriale. «Guardando gli orari, mi accorgo già che qualcosa nel mio piano non quadra, visto che gli autobus per la zona industriale passano ogni 50 minuti. Una cosa che mi stupisce molto, considerato che non si tratta di una ridente meta turistica ma di un luogo di lavoro che dovrebbe essere, a rigore di logica, servito con collegamenti costanti». Per arrivare puntuale la giovane lavoratrice dovrebbe infatti salire sul primo o al massimo secondo bus, intorno alle 7.05 – un po’ prima dell’orario di punta, quando si creano file di persone in attesa -, prendere la coincidenza in tempo e arrivare a lavoro alle 9. «Praticamente impossibile», dice lei, che si preoccupa soprattutto per il viaggio di ritorno, quando le tocca aspettare anche 40 minuti l’unico autobus che passa intorno alle 17.50 in «fermate indecorose e devastate dall’incuria, avvolte nel buio, dove è facile incontrare cani randagi o essere rapinati», precisa.
Quando può Virginia cerca di organizzarsi con i genitori o con i colleghi, non senza disagi per tutti. «Comunque sempre meglio di affrontare l’annosa diatriba tra il 244 e il 237, due linee che arrivano con un ritardo fisso di circa 30 minuti dalle parti del famigerato Canalicchio, dove mi sono da poco trasferita, che hanno tre fermate in comune e passano a distanza di dieci minuti». Ma non finisce qui. «Una volta arrivati al piazzale Sanzio entrambi posteggiano per la sosta di un quarto d’ora, regalando all’utenza che li aspetta altrove circa 40 minuti di buio e agonia». Cioè il tempo del ritardo più quello della fisiologica pausa al capolinea. «Ma visto che le due linee compiono più o meno lo stesso tratto, non sarebbe meglio far passare i bus a rotazione anziché nello stesso range di dieci minuti?», domanda Virginia.
«E visto che l’Amt – continua la ragazza – è appena passata sotto una nuova illuminata dirigenza che promette di risollevare le sorti di un’azienda ormai allo sbando, non sarebbe il caso di partire dalla più ovvia riorganizzazione delle tratte e del servizio anziché da nuove linee che riciclano percorsi che non funzionavano già prima?», chiede. Domande per le quali Virginia, come tanti altri cittadini, si aspetterebbe risposte concrete. «E voglio lasciare stare altri nodi come l’assenza dell’aria condizionata d’estate e i controllori che non bazzicano mai sugli autobus che prendo io», dice. «Ho deciso di protestare simbolicamente non rinnovando l’abbonamento che ho da tanti anni perché se pago pretendo un servizio pubblico che venga incontro alle esigenze della comunità», conclude Virginia. Che adesso, coi soldi che per tanto tempo ha messo da parte per potersi permettere una casa in affitto in centro città, pensa invece a ricomprare l’automobile.