Un pareggio prevedibile quello del pericolante Catania sul campo della squadra che ha stravinto il campionato. Una partita vissuta senza un filo d’emozione, e perfino senza quell’attesa in cui sta tutta la malia del calcio. Difficile pensare al futuro. Meglio immergersi nei ricordi, nel tempo in cui perfino la salvezza poteva essere una festa…
Zero a zero a Carpi, e meno male che è finita Addio alla stagione che ci ha rubato anche il sabato
E che dovremmo fare, adesso? Commentare questi novanta minuti di nulla annunciato? Discutere d’una partita tra una squadra, il Carpi, che giocava con tutte le riserve possibili e doveva solo aspettare che il cronometro facesse scattare l’ora della festa; e un’altra, il Catania, che al cronometro chiedeva solo il pietoso officio di segnare la fine di questo campionato, senza bisogno di code dall’esito assai dubbio come sarebbe stata quella dei play out?
Dubbio, l’esito della partita di stasera, non è parso mai. Né ci si poteva aspettare che lo fosse, se poco si conoscono usi e regole non scritte di questi finali di campionato italiani. Ma non stiamo a parlar di questo. Parliamo del fatto, piuttosto, che una settimana che in anni passati ci avrebbe riempiti di passione, agitandoci tra speranza e paura, si è indolentemente consumata fino al fischio finale di quest’ultima giornata, nell’almeno apparente indifferenza di una tifoseria sedotta, abbandonata e infine offesa dalla sua squadra, e da chi ha avuto il compito di gestirla.
Ecco: la colpa maggiore del Catania, in questi due anni di gestione sventurata, non è forse quella di averci rubato la gioia della domenica, la festa dei pomeriggi di serie A. Ma quella di averci rovinato il sabato: da intendersi, quest’ultimo, non come giorno del calendario; bensì nel senso metaforico di momento dell’attesa, preparazione al dì di festa, lento assaporamento di un piacere di là da venire. Un piacere che, magari, potrebbe anche non arrivare; ma che almeno ci concede l’illusione di aspettarlo. Ci ha rubato, questo Catania o per dir meglio chi lo gestisce, la magia dell’attesa, l’impazienza di un futuro magari povero, ma sempre gravido di lusinghe. Ci ha tolto quell’unico bene, l’illusione, che le incertezze del calcio – e della vita – possono ancora garantire a chi ha il candore d’animo necessario per dirsi tifoso.
Per questo, dopo il fischio dell’arbitro che ha sancito la conclusione di un anno pieno di nulla, non mi sento proprio la forza e la fantasia di pensare a cosa sarà domani. E semmai mi vien voglia di abbandonarmi al ricordo. Di ripensare a quando una salvezza, per il Catania, era ancora una festa. E la sua attesa una sofferenza indicibile. Una sofferenza che, al tempo, ci eravamo augurati di non dover rivivere. Ma che saremmo pronti a barattare con la realtà di oggi.
Non saprei regalarvi altro, questa sera, che un passo all’indietro. Un bel tuffo nell’anno 2008 – seconda stagione di serie A e salvezza acchiappata all’ultima giornata – per cinque minuti di nostalgia. È poca cosa, capisco. Ma è sempre meglio del nulla in cui sguazziamo da un paio d’anni.
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