Assolto nel giorno del suo compleanno perché «il fatto non sussiste». Finisce così il processo per voto di scambio all’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo. Giudicati non colpevoli anche il figlio Toti e gli altri tre imputati: Ernesto Privitera, Angelo Marino e Giuseppe Giuffrida. L’accusa aveva chiesto la condanna per Raffaele Lombardo a un anno e due mesi e per gli altri imputati a dieci mesi. Il dispositivo è stato letto dalla giudice monocratica Laura Benanti dopo una camera di consiglio durata appena 45 minuti. Durante l’attesa l’ex presidente della Regione ha sorseggiato uno dei suoi consueti tè caldi insieme ai suoi legali. Il figlio, deputato regionale, ha preferito rimanere in disparte davanti l’ingresso del Tribunale, tra telefonate e qualche sbadiglio. I due politici autonomisti, a sorpresa, hanno però scelto di non assistere alla pronuncia da parte della giudice, spiazzando i numerosi cronisti che li attendevano per commentare l’esito finale del processo. «Sono stato processato per un reato che non ho mai commesso» ha detto l’ex leader del Mpa durante le sue dichiarazioni spontanee, rese in aula prima della camera di consiglio. Per la prima volta era presente in udienza l’ex consigliere di circoscrizione Privitera. L’imputato, accompagnato dal figlio, al termine dell’udienza è uscito dall’aula visibilmente emozionato: «Devo avvertire mia moglie perché questa vicenda ci ha segnati – commenta – Io sono sempre stato un fedelissimo di Lombardo».
L’ex governatore – che è difeso dall’avvocato Salvo Pace – trascorse alcune ore dall’udienza ha commentato telefonicamente la sua assoluzione e quella del figlio. «Alla fine ritengo che la fiducia nella magistratura paghi – spiega il politico di Grammichele -. Per preparare le dichiarazioni spontanee non ho dormito per due giorni e ho perso tre chili. In mezzo in questa storia c’era mio figlio e questo mi ha fatto entrare in una condizione di tensione e apprensione che non ho mai provato».
La vicenda giudiziaria che riguarda i Lombardo inizia il 9 luglio 2013 con l’avviso che comunica a padre e figlio la fine delle indagini. L’accusa per entrambi è quella di voto di scambio. I due politici tuttavia non sono gli unici a essere coinvolti. Alla sbarra finiscono anche l’ex consigliere di municipalità autonomista Ernesto Privitera e due suoi parenti: il cugino Angelo Marino e il cognato Giuseppe Giuffrida. Secondo l’accusa Raffaele e Toti Lombardo avrebbero favorito, in cambio di voti, l’assunzione di Giuffrida nella società di raccolta di rifiuti Ipi srl. Che, insieme alla Oikos spa, in un raggruppamento temporaneo d’imprese gestisce il servizio di spazzamento nella città di Catania. Giuffrida viene effettivamente assunto il 18 marzo 2013, trascorsi alcuni mesi dalle elezioni regionali dell’ottobre 2012. Una tornata che segna l’elezione di Toti al parlamento regionale con quasi diecimila preferenze.
L’assunzione finita nel mirino degli investigatori non è però l’unico episodio di cui si parla durante il processo. Per descrivere il clima e le modalità del consenso i magistrati Lina Trovato e Rocco Liguori passano in rassegna numerosi episodi. Il 6 maggio 2013, a poche settimane dalle ultime comunali a Catania, il consigliere Maurizio Mirenda si reca a casa del pregiudicato Nino Balsamo. Episodio che viene monitorato dagli uomini della squadra mobile etnea. All’appuntamento si presenta anche Vanessa D’Arrigo – all’epoca consigliera provinciale dell’Mpa – che di Mirenda è la compagna. All’epoca ristretto agli arresti domiciliari, Balsamo è il fratello di Tina, arrestata nel febbraio 2014 nell’inchiesta della Dia denominata Prato verde. Il marito di quest’ultima è Orazio Privitera, uomo d’onore e boss di primo piano del clan Cappello-Bonaccorsi, arrestato nel 2010, attualmente recluso al carcere duro e condannato nel processo di primo grado Revenge per tre omicidi.
Nei faldoni dell’inchiesta, partita grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Vincenzo Pettinati e Gaetano D’Aquino, finiscono anche le intercettazioni ambientali del 13 ottobre 2012 davanti il club I pazzi dei tifosi del Calcio Catania. In quell’occasione alcuni uomini, mai identificati, parlano del mercato dei voti in città. Un pacchetto di 500 voti al costo di 2500 euro. Gli ignoti, che non fanno mai esplicito riferimento sui destinatari delle preferenze, proseguono in questi termini: «Noi siciliani abbiamo bisogno del posto di lavoro e, se diamo i voti, è per questo».
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