Nella Catania non proprio famosa per l'efficienza dei suoi trasporti pubblici, dove 'orari nun ci nn'è', tre studentesse fuorisede ci raccontano cosa vuol dire andare all'Università in autobus. "Come funziona? Tutti i giorni alle sette e mezza sono fuori di casa"
Vita da pendolare
Da via lago di Nicito alla Cittadella: il problema è il ritorno
Nome: L.
Età: 22
Mi sono iscritta in Informatica, il che significa che ho lezione alla Cittadella, e abito in via Lago di Nicito (per intenderci, vicino via Androne – pressi piazza S.Maria di Gesù). No, non è masochismo, semplicemente quando mi sono iscritta all’università mia sorella abitava lì in zona e siccome non c’era posto nello stesso appartamento ho cercato una sistemazione il più vicino possibile a casa sua. Lei però un anno dopo s’è laureata, io sono rimasta nella stessa sistemazione perché mi sono trovata bene con le ragazze. E…bell’affare, lo so. La Cittadella sembra lontana anni luce.
Come funziona? Tutti i giorni mi alzo alle sette meno un quarto, mi lavo, mi vesto, colazione se c’è tempo e alle sette e mezza sono fuori di casa. Perché almeno la mattina il 740 è puntuale. Salgo alla fermata in piazza, col mio bell’abbonamento categoria G (studentiuniversitarifuorisede) da ventuno euro nel portafogli, percorriamo un tratto del viale Rapisardi, poi via Lavaggi, via Vivante, piazza Lanza, via Beccaria, via Milo, viale Fleming e finalmente viale Andrea Doria, proprio all’ingresso della Cittadella. Il percorso dura all’incirca venti minuti. Fin qui tutto normale, a parte il freddo che d’inverno in quei cinque-dieci minuti d’attesa è capace di congelarmi pure i pensieri.
Il problema è il ritorno. Con le lezioni finisco quasi sempre di pomeriggio, e di pomeriggio “puntualità” è una parola tabù. La fermata più vicina sarebbe in viale Fleming, ma quando comincia a fare buio (d’inverno molto presto) non è molto raccomandabile, se sono sola. Perciò faccio un po’ di strada a piedi, in genere in compagnia di una mia collega che abita in via Milo, dov’è l’altra fermata. Le mando un saluto invidioso con la manina quando la vedo chiudere il portone, e aspetto. Non c’è una cadenza fissa, si va dalla mezz’ora piena a un’ora. Dipende dal traffico. E dalle corse che saltano se un mezzo ha qualche problema, o, più spesso, se il conducente si ferma a chiacchierare col suo collega più del previsto.
Se piove, poi, prendere il bus diventa un terno al lotto. Il traffico si blocca, qualsiasi corsa è strapiena e se riesco a prenderne al volo una, una qualsiasi, so quando salgo, ma non so quando scenderò…
Da piazza S. Maria di Gesù a Scienze Politiche: meglio a piedi
Nome: F.
Età: 20
Abito in via Amba Alagi, praticamente dietro l’ospedale Garibaldi. La mia facoltà è Scienze Poltiche, che ha sede in via Vittorio Emanuele “verso la stazione”, nei pressi di piazza Cutelli. Perché non ho preso casa là vicino? Beh, diciamo che non è una zona bellissima, soprattutto di sera.
Questo semestre ho lezione alle otto di mattina tre volte alla settimana, ma se posso evitare di prendere l’autobus è meglio: per arrivare in facoltà dovrei cambiarne due o tre, perdendo un sacco di tempo, perciò vado a piedi. In genere esco di casa alle sette e venti, e in mezz’ora, o giù di lì, arrivo a destinazione.
Finisco la prima lezione alle dieci, vado in aula studio per un paio d’ore, perché a mezzogiorno c’è la lezione successiva. La prof. ci concede quasi sempre di uscire all’una e mezza anziché alle due, visto che non facciamo pausa. Così, se sono fortunata, riesco a prendere il 4-7, che da via Vittorio Emanuele passa per piazza Duomo, via Etnea, viale Regina Margherita e arriva in piazza S. Maria di Gesù, dove scendo. La durata del percorso è accettabile: dai dieci ai quindici minuti. Se becco il giorno sfortunato, invece, sono costretta a prendere il 429, che per un tratto fa la stessa strada, scendo in via Etnea di fronte alla Villa Bellini e lì aspetto un autobus che mi porti per lo meno al viale Regina Margherita. A volte, per via di questo cambio e dell’attesa, ci metto più di mezz’ora per arrivare a casa. Infatti preferisco tornare a piedi, specialmente se sono in compagnia dei miei colleghi: non mi fido delle corse perennemente strapiene.
Se piove, ovviamente, con la via Etnea intasata gli autobus non passano. Per questo anziché fare l’abbonamento compro i biglietti quando mi servono.
Da via Passo Gravina al Monastero dei Bendettini: “Orari nun ci nn’è”
Nome: G.
Età: 19
Ho preso casa in via Passo Gravina anche se sono iscritta in Lingue. Perché? Bella domanda. È che ho preferito andare ad abitare con una mia amica, che invece ha lezione alla Cittadella. Sapete come ci si sente soli e disorientati il primo anno, no?
Se dovessi decidere di andare in facoltà a piedi, credo che impiegherei almeno tre quarti d’ora. Perciò preferisco affidarmi all’inaffidabilità degli autobus. La mia fermata, l’ultima di via Etnea, è affollata fin dalla mattina presto. Prendiamo tutti lo stesso autobus, quando si degna di farsi vedere: l’ambitissimo e pienissimo 429 (ma ci sono anche il 432, il 449, il 536), che percorrerebbe in discesa la via Etnea come una pista da sci, se non fosse per il traffico agli incroci e per le innumerevoli fermate.
Ci sono un mucchio di ragazzini con lo zaino in spalla che fanno gruppetti, ci sono le signore che vanno a fare la spesa (alle sette del mattino?! Ebbene sì), e i signori dalla faccia stranita (sempre gli stessi, poi: ormai li riconosco immediatamente) che adocchiano la loro preda e aspettano il momento propizio, quando saremo così tanti da sentire gli uni il respiro degli altri, per strusciarsi un po’ addosso a lei e cominciare bene la giornata. Badiella, Orto Botanico, Villa Bellini, Stesicoro. La mia fermata. Imbocco a piedi via Manzoni, fino a incrociare via Di Sangiuliano che si erge possente e ripida davanti a me. Sono stanca già solo a guardarla. I primi alberi di piazza Dante intravisti da lontano profumano di traguardo, la chiesa di San Nicolò è il nastro rosso da tagliare. Ci sono giorni in cui vedo il sole sorgere e tramontare ai Benedettini. Suggestivissimo, veder calare la sera in un posto del genere, per carità.
Da un po’ di tempo a questa parte ho scoperto che in via Etnea, all’incrocio con via S. Giuliano, c’è una bellissima fermata dell’autobus. Piuttosto anonima (senza panchina né tettoia per l’attesa, senza un nome preciso, solo un paletto con in cima la scritta “A.M.T.”), ma pur sempre una fermata. Prima di accorgermi della sua esistenza, tornavo in piazza Stesicoro e dalla via S. Euplio raggiungevo la fermata di fronte a Villa Bellini (salvo naufragi in caso di pioggia). Il 429, il 432, il 449 e il 536 sono i miei migliori amici, quando c’è bel tempo. Altrimenti, ringrazio il cielo se riesco a prendere un autobus qualsiasi, e so già che non sarò a casa prima di un’ora, un’ora e mezza.
Mi ricordo un giorno di settembre, che ancora l’università non era iniziata. Ero venuta a Catania quasi da turista, mai preso un autobus urbano prima. Intuisco che l’edicola che ho davanti può vendermi il biglietto. Mi informo sul numero da prendere per arrivare in via Etnea alta, quindi chiedo al titolare: “Scusi, mi sa dire a che ora passerà?”.
“Signurina, semu a Catania: orari nun ci nn’è”