Visti da voi, La bottega dei suicidi di Leconte Diorama animato tra grottesco e citazioni

Animazione meravigliosa: i personaggi sembrano di carta. Il resto è “all’antica”: sembrano davvero pezzi di cartone che si muovono, su sfondi fissi che si spostano solo al variare dell’inquadratura (sembra una puntata di Blu notte, coi cartonati dei protagonisti in giro per lo studio). Una parvenza di terza dimensione solo per gli oggetti in movimento (macchine, ascensore…). Sembra tutto quasi un gigantesco, continuo e musicale diorama. Colori accesi, ma non vivaci, netti, ma non pastello, realistici: niente teal&orange.

Movimenti di macchina perfetti, in ogni loro utilizzo, mai fuori luogo, mai eccessivi, mai non necessari. Solo il fastmotion delle stagioni, con un filo, quasi impercettibile, di zoom, è una piccola nota stonata: l’unica in una scelta di inquadrature e movimenti altrimenti perfetta.

Pino Insegno al doppiaggio colpisce ancora, anche se il doppiaggio non è così grandioso: le voci non sono azzeccatissime, e alcuni passaggi degli adattamenti dei dialoghi sembrano stonare un po’ coi disegni.

Citazioni in quantità, sparse per tutto il film: Dalì, Hopper, De Chirico, Chomet, Burton, Sant’Elia, Rorschach, e anche una piccolina a Micheal Jackson (ce ne saranno tante altre che non sono stato in grado di cogliere).

Il film è pieno di morti, ma mai vediamo una scena macabra o violenta o morbosa; stesso discorso dicasi per il sensuale (oserei dire erotico) balletto di Marylin.

La storia è semplice, quasi banale, il finale è ambiguo, e obbliga lo spettatore a riflettere, a pensare a tante possibilità. I personaggi, purtroppo, non hanno una caratterizzazione profonda, si comportano per stereotipi e sembrano non avere alcun peso nella storia. L’unico personaggio un pò più approfondito è Mishima, padre amor(t)evole, che pur di avere sollievo dai suoi sensi di colpa preferisce indurre il figlio a fumare (scena impensabile con attori in carne e ossa). Il finale è aperto soprattutto grazie a lui e alla sua scarsa propensione al cambiamento, o forse affezione ai vecchi clienti.

Il ragazzo “diverso”, stranamente coi capelli rossi, che salva l’universo, o meglio la vita della sorella, con la sua disuguaglianza, distruggendo un’impresa creata dai propri e portata avanti dai suoi genitori nel totale rispetto della legge.

L’immediata multa al suicida, e il totale disinteresse per il resto, è una velata critica alla polizia e a tutto il sistema, pronto ad intervenire solo quando è troppo tardi.

Stavolta il titolo italiano è azzeccato (era semplice, però in altri casi semplici i distributori italiani sono riusciti a creare vaccate indicibili), ma siamo riusciti comunque a farci notare: la Commissione di Revisione Cinematografica aveva bollato la pellicola come vietata ai minori di 18 anni. Ovviamente questa scelta è stata presa solo ed esclusivamente in Italia, non si capisce il perché; forse per la scena del balletto di Marylin, ma a questo punto si dovrebbe aprire un lungo, pesante, estenuante e forse infinito discorso sul ruolo della donna nel mondo dell’intrattenimento in Italia e nel resto del mondo, ma non è questo il luogo adatto.

Film complessivamente gradevole, una vera goduria per gli occhi, ma come pellicola gli manca qualcosa…

Pietro Sidoti


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Nuovo appuntamenti con le recensioni dei lettori. Stavolta tocca alla pellicola del 2012 firmata da Patrice Leconte. «Titolo italiano azzeccato, animazione meravigliosa, movimenti di macchina perfetti e citazioni in quantità»: questa la ricetta di una «storia semplice, quasi banale, dal finale ambiguo che obbliga lo spettatore a riflettere». Ma che la Commissione di revisione cinematografica italiana aveva bollato come vietata ai minori di 18 anni, nonostante «non si vedano mai scene macabre, violente o morbose»

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