Nel giorno dedicato alla lotta alla violenza sulle donne sono molteplici i messaggi rivolti alle vittime, affinché trovino il coraggio di abbattere il muro del silenzio, chiedendo aiuto e venendo fuori da situazioni potenzialmente letali. Ma cosa si deve fare, invece, se si ha il sospetto che una donna sia maltrattata? Cosa si può fare se per strada si assiste a una scena di violenza? Non esistono regole ad hoc, le leggi sono, giustamente, uguali in tutti i casi, a prescindere dal fatto che la vittima sia una donna, una bambina o, perché no?, un uomo.
«Partiamo dal presupposto che nessuno può aiutare una donna che non abbia deciso di aiutare se stessa – spiega Rossana Caudullo, rappresentante legale dell’associazione e del centro antiviolenza Donne a Sud di Vittoria – perché non la si può costringere a denunciare o ad andare via di casa. Le catene, soprattutto quelle della violenza psicologica, sono difficili da spezzare quindi, se si pensa o si ha la sicurezza del fatto che una donna di nostra conoscenza subisca maltrattamenti in famiglia, la prima cosa da fare è cercare di farle aprire gli occhi, entrando nei suoi spazi e nella sua vita in punta di piedi, perché lei potrebbe essere pronta a negare e a difendersi con le unghie e con i denti». Caudullo fa poi riferimento al contesto in cui la donna vittima di violenza si muove. «Ricordiamoci che quando si è vittima di violenza da parte di un padre, di un marito o di un figlio si pensa che questa sia la sola forma di amore possibile – prosegue -. Conquistare la sua fiducia e farle vedere che c’è la luce oltre il buio sono le prime cose da fare. Spingerla a denunciare e a chiedere aiuto a un centro antiviolenza, magari dopo aver acquisito delle prove, è la seconda. Saranno le operatrici – sottolinea l’avvocata – a indicare la giusta strada da percorrere e a fornire tutta l’assistenza possibile, anche legale e psicologica, trovando per lei una sistemazione in una casa famiglia segreta nei casi più gravi».
Se si è invece a conoscenza di casi di molestie sul posto di lavoro, il primo passo sarà fare in modo che la vittima si apra, racconti quello che succede in azienda e si fidi. Passaggio non semplice perché la paura di rimanere senza un’occupazione, soprattutto se si hanno dei figli da mantenere, potrebbe prendere il sopravvento. «Successivamente – chiarisce la legale di Donne a Sud – bisogna convincerla a prendere nota di ogni episodio molesto, registrando, se possibile, anche la data e l’ora in cui il tutto avviene e davanti a quali persone, scrivendo alla lettera le proposte o le minacce ricevute quando si è da soli o dietro una porta chiusa, e i richiami o le osservazioni fatte davanti ad altri. Non tutti sanno – va avanti Caudullo – che si può ricorrere alla magistratura con il sostegno delle organizzazioni sindacali e delle associazioni che operano a sostegno delle donne. Se poi si riuscisse anche a coinvolgere i colleghi di lavoro della vittima, chiedendo loro se hanno avuto le stesse esperienze e se se la sentono di raccontarle, diventerebbe ancora più facile far cessare le molestie e perseguire» .
Nel caso in cui si abbia solo il sospetto dei maltrattamenti e non si voglia invadere la privacy della presunta vittima, è bene sapere che si possono fare anche delle segnalazioni anonime ai centri antiviolenza, perché le operatrici sono autorizzate a cercare di capire come stiano effettivamente le cose. Mentre se invece la violenza o l’aggressione avvengono per strada, verbali o fisiche che siano, la prima cosa è non avere paura di risultare indelicati o di finire coinvolti. Chiaramente, se gli animi sono troppo esasperati e si potrebbe mettere a rischio la propria incolumità, è bene saltare questo passaggio e passare direttamente alla chiamata al 112. «Le forze dell’ordine – dice ancora l’avvocata – hanno il dovere di intervenire immediatamente e, nei casi più gravi, di arrestare l’aggressore, se c’è la flagranza di reato. Successivamente sarebbe opportuno chiamare una persona cara alla vittima e farla accompagnare al pronto soccorso o in un consultorio, farla visitare ed esigere un dettagliato certificato medico. A questo proposito – specifica Caudullo – è bene tenere a mente che la donna che ha subito violenza non deve lavarsi prima della visita. E per non cancellare eventuali tracce deve conservare i vestiti che portava al momento dell’aggressione, per poi presentare una copia del certificato medico al momento della denuncia. Ultima cosa importante: bisogna riuscire a far capire alla vittima che è fondamentale conservare tutte le prove della violenza subita anche se pensa di non denunciare l’aggressione perché – conclude la legale – potrebbe sempre cambiare idea».
Sono tanti, dunque, i modi in cui si può aiutare una donna che subisce violenza. Ma non chiudere le finestre se si sentono le urla, gli occhi se si vedono i lividi e non mettere a tacere il proprio istinto se ogni giorno la persona in questione dice di scivolare, cadere dalle scale o sbattere contro uno spigolo sarebbe già davvero tanto. L’indifferenza, è importante ricordarlo, può uccidere quanto una coltellata.
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