Vincenzo La Scola, nemo profeta in patria

Oggi siamo qui per ricordare un grande concittadino, che ha reso onore con la propria persona ed il proprio lavoro alla città di Palermo: il Maestro Vincenzo La Scola. L’occasione non è legata a nessuna data in particolare, ma al fatto che, essendo melomani fatti e finiti (questo si era capito), quando abbiamo qualche minuto libero ci lanciamo su internet e you tube e cerchiamo qualche nuovo video di lirica appena caricato. In questa ricerca, ci è capitato di vedere dei video di Vincenzo La Scola relativi, nemmeno a farlo apposta, ad un Elisir d’Amore del 1985 e ad un Rigoletto successivo di alcuni anni.

Siamo rimasti senza parole. Senza parole per la limpidezza e la bellezza del timbro, per la fluidità e la pastosità del canto, per la perfezione tecnica con cui il tenore palermitano affrontava i passaggi di registro. Siamo orgogliosi di essere concittadini di cotanto tenore. Né mai sarà troppo grande il rimpianto di averlo perso così presto.

Pur nella sua breve vita egli ha percorso una lunga e ricca carriera, che lo ha portato, grazie al suo raro e smagliante talento, ad avere maestri del calibro di Carlo Bergonzi, Rodolfo Celletti e Arrigo Pola. Da lì, rapidamente, sono arrivati i premi dei Concorsi e i debutti presso i più prestigiosi teatri mondiali: il Teatro alla Scala a Milano, il Teatro Regio di Torino, il Teatro La Fenice di Venezia, le Theatre La Monnaie, il Teatro Comunale di Bologna, il Teatro San Carlo di Napoli, il Teatro dell’Opera di Roma e, last but not least, il Metropolitan di New York, dove è stato richiesto, ricercato ed apprezzato.

E il Teatro Massimo di Palermo? Non è forse anch’esso uno dei più importanti Teatri lirici (ci chiediamo: al Mondo, d’Europa, d’Italia? Per gli sforzi alla rovescia che fa, pensiamo che tra breve avrà difficoltà ad entrare in classifica tra i migliori Teatri della Sicilia, comunque…).

Il Maestro La Scola non aveva dimenticato la propria città e tutti sanno come avesse accettato di garantire nel 1998 l’apertura della stagione del Teatro Massimo con l’Aida, se fosse stato necessario, anche se in quel periodo, secondo ciò che abbiamo letto, non volesse interpretare Radames, che successivamente interpreterà in maniera sorprendente.

In quell’occasione, nonostante la disponibilità dimostrata, non venne chiamato, perché il ruolo di Radames venne affidato a Josè Cura.

Dopo qualche anno, con ben altra amministrazione comunale, Josè Cura invece gli verrà preferito per una parte tagliata assolutamente sulla sua vocalità: Cavarodossi di Tosca. E ciò con suo disappunto. Una delle tante ‘perle’ dell’amministrazione comunale –  quindi del Teatro Massimo – retta da Diego Cammarata.

E’ vero: “nemo profeta in patria”, insomma. Egli, che diceva di volere cantare anche gratis per il Teatro della propria Città, non è stato tenuto in considerazione e noi, che avevamo “in casa” un tenore ricercato dal mondo intero, non lo vedevamo.

Comunque, a compensazione, con quest’ultima amministrazione e relativa Sovrintendenza del Teatro, non ci siamo fatti mancare gli Elisir d’Amore trasformati da Vino Bordeaux in piste innevate, “sgamate” da cani anti droga sul palcoscenico. Forse che “nemo dat quod non habet?”.

A proposito di Elisir d’Amore, avevamo avuto il piacere di ascoltare nel 1990 la registrazione dell’edizione 1988 prodotta nell’ambito del programma “Eni alla Scala”, in cui La Scola aveva sostituito Pavarotti, ammalatosi all’ultimo momento.

Quella è stata un’edizione memorabile dell’Elisir d’Amore! Vincenzo La Scola ha strappato applausi a scena aperta ad un pubblico immemore di non avere sul palcoscenico Pavarotti. Gli altri interpreti, da Dulcamara-Desderi a Belcore-Nucci ad Adina-Ferrarini sono stati memorabili. La regia e la scenografia fiabesco-onirica (rispettivamente di Andree Ruth Shammah e di Giorgio Cristini), essenziale e moderna hanno fatto ciò che una vera regia e scenografia devono fare: esaltare l’opera lirica nella sua musica senza perderne la valenza rappresentativa. E, per coloro che fanno sempre i conti, non sembrava, nemmeno una delle dispendiosissime produzioni scaligere. (a destra, il Metropolitan di New York, foto tratta da tripwolf.com) 

L’abbiamo rivista in questi giorni e, come concittadini del Maestro La Scola, ci siamo commossi, sapendo che la nostra bella e martoriata città, ricordata sì, ma anche mortificata, ogni tanto viene associata a ricordi belli e nobili.

Siamo rimasti sorpresi quando ci siamo accorti che, presso i più prestigiosi rivenditori di dischi di Palermo, ci sono pochissime incisioni del Nostro. In uno, in particolare, il più importante di Palermo, che prima aveva il nome giusto dell’editore del Maestro Donizetti, CD e DVD si potevano contare sulla dita di una mano.

Ad esempio, non abbiamo trovato la registrazione del magnifico Rigoletto per il quale La Scola è stato richiesto dal Maestro Riccardo Muti. Un Duca di Mantova dalla vocalità cristallina, limpida, fluida, squillante e sinuosa, sempre con la solita tecnica perfetta che fa sembrare facile anche le arie più impervie.

E’ vero: la Sicilia è una terra difficile, ma se è ancora così viva è perché vi sono persone belle e vere come i siciliani e soprattutto come alcuni siciliani, tra cui sicuramente il Maestro Vincenzo La Scola, che ha portato il nome della Sicilia e di Palermo nel Mondo.

E concludiamo con le parole di una celeberrima opera di Bellini, scritte peraltro anche sulla sua lapide commemorativa, che ci sembrano assolutamente appropriate per salutare il nostro concittadino: “…ah, non credea mirarti sì presto estinto, o fiore….”.

Foto di Vincenzo La Scola tratta da angelipersi.blogspot.com


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