Don Alfio Spampinato è stato per un mese amministratore parrocchiale della chiesa di Santa Croce, nel quartiere periferico catanese. Appena arrivato scopre una serie di storture economiche tra cui pesanti debiti con fornitori e banche. Dall'arcivescovado però non arriva risposta. E la comunità di fedeli rimane ancora senza guida
Villaggio Sant’Agata, la chiesetta coperta di debiti Il prete amministratore denuncia ma viene rimosso
Incontriamo don Alfio Spampinato – non padre, tiene a precisare – in un bar di Catania. Il sacerdote ha una storia da raccontare che riguarda la parrocchia Santa Croce del villaggio Sant’Agata dove è stato, per breve tempo, amministratore per conto dell’arcivescovado. Una questione puramente contabile che, però, riguarda la modalità di gestione di beni e proprietà della Chiesa cattolica etnea. Don Alfio mette subito le carte in tavola e spiega la sua storia. Un racconto che affonda le radici nell’estremismo di destra, quando negli anni Settanta era un «attivista politico di Ordine nuovo». Poi ci sono le ombre, quelle del «periodo non breve in carcere per motivi politici, e nella Legione straniera, prima di divenire prete». Ma anche le luci, quando viene ordinato diacono nell’arcidiocesi di Catania nel 1989. Dieci anni dopo, «seguendo la mia primitiva vocazione», diventa cappellano militare. E lo rimane fino al suo ritorno a Catania, ad agosto di quest’anno, quando arriva nella parrocchia del quartiere periferico del capoluogo etneo.
«La parrocchia era senza parroco da tempo. Mancando il titolare Pio Guidolin, lo suppliva come amministratore don Nino Vitanza, parroco a Monte Po‘, che però era già oberato di lavoro – racconta don Alfio a MeridioNews – Per questo mi venne chiesto di aiutarlo e il 14 settembre ricevo la nomina come amministratore parrocchiale. Non chiedo perché Guidolin era assente, e il vescovo mi dà spiegazioni generiche. Posso dire che c’era stata una denuncia – continua – e lui aveva inviato il carteggio alla Santa Sede e si era in attesa di risposta. I motivi chiedeteli a monsignor Gristina – continua – io per rispetto della privacy non ritengo di doverli divulgare». Dal momento del suo arrivo al villaggio Sant’Agata, il cappellano militare trova una situazione nei libri contabili della parrocchia che lui stesso definisce «disastrosa». «Periodicamente facevo rapporto a monsignor Genchi, vicario generale, per chiarire lo stato delle casse. Le entrate erano vicine allo zero, c’erano uscite di almeno trenta euro al giorno per la ordinaria amministrazione. Siamo stati per un intero mese senza luce perché non era stata pagata la bolletta. Ma, soprattutto, ho trovato debiti per oltre 40mila euro».
Una cifra importante, soprattutto per una realtà piccola come quella di Santa Croce, che secondo il sacerdote risale al periodo di gestione di don Pio Guidolin. «Esistono fatture risalenti a diversi anni prima, del 2011 e del 2013, per quasi ottomila euro non pagati a fornitori di vario genere. A questi si devono aggiungere due mutui contratti con Unicredit e Banca Prossima per più di 26mila euro, per lavori effettuati in parrocchia, e 6500 euro per una transazione legale con un architetto». Per quanto riguarda i fornitori, don Alfio li avrebbe incontrati e avrebbe verificatola fondatezza del credito, «comunicando tutto all’ufficio diocesano competente». Mentre per i mutui «già la Curia era al corrente, credo che vi sia stata anche una fideiussione».
E così Spampinato prepara un elenco di adempimenti che ha poi sottoposto all’attenzione del vicario generale, tutti «urgentissimi e implicanti possibili responsabilità di carattere penale». «Per questo motivo ho accetto l’incarico ma con riserva, ovvero ho richiesto assicurazione dal vescovo di una formale assunzione di responsabilità della Arcidiocesi riguardo i debiti, in solido, e le eventuali pendenze legali. L’unica risposta che ho avuto però è “vedremo“, “studieremo“, “considereremo” e così via». A questo punto, il 7 ottobre scorso, don Alfio scrive ufficialmente all’Arcivescovo chiedendo di avere conferma sulle rassicurazioni e ponendo come termine ultimo il 16 ottobre. Data oltre la quale il prete dichiara di non voler procedere con l’incarico. La risposta, questa volta, non tarda ad arrivare. «Il giorno dopo mi ha telefonato il vicario generale per invitarmi a ritirare la risposta in cancelleria. In sintesi, mi è stato scritto che a partire dal 17 ottobre 2016 sarei stato sollevato dall’incarico di amministratore parrocchiale». Abbiamo provato a contattare l’arcidiocesi per una replica, ma non è stato possibile ottenere dichiarazioni.
Nel lasciare la parrocchia però padre Spampinato rimane amareggiato per il lavoro fatto nella sua breve amministrazione e lascia una fotografia della comunità dei fedeli che, ogni giorno, frequenta Santa Croce. «Al 90 per cento è tutta buona gente, lavoratori, famiglie di persone che faticano per arrivare a fine mese. Esiste anche una minoranza però di persone che vivono come in un altro mondo, ma che non si interessano della parrocchia. Infine – conclude il sacerdote – c’è uno sparuto gruppo di facinorosi, prepotenti, prevaricatori che, si erano annidati in parrocchia e che avevo cominciato a snidare e a riportare all’ordine cercando di convincerli a rientrare nella legalità». Come? Don Alfio risponde risoluto. «Con la “Cristo–terapia“, in prima istanza. Altrimenti con la “legno–terapia“, in seconda battuta, in senso letterale».