Rosario Fichera, Maria Concetta Torrisi, Caterina Fichera e Mario Patanè. Sono questi i nomi delle quattro persone arrestate dagli agenti del commissariato di Acireale e sono finite in carcere nell’ambito dell’operazione Arpagone che ha portato alla luce un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di usura e abusivismo finanziario. Le indagini, durate circa sei mesi – […]
Acireale: l’usura un «affare di famiglia» da generazioni. Genitori delusi dalla figlia «incapace di dedicarsi all’attività»
Rosario Fichera, Maria Concetta Torrisi, Caterina Fichera e Mario Patanè. Sono questi i nomi delle quattro persone arrestate dagli agenti del commissariato di Acireale e sono finite in carcere nell’ambito dell’operazione Arpagone che ha portato alla luce un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di usura e abusivismo finanziario. Le indagini, durate circa sei mesi – da dicembre del 2021 a giugno del 2022 – sono partite dalla denuncia di alcune vittime che erano allo stremo perché non più capaci di corrispondere gli interessi altissimi richiesti dai loro usurai. Stando a quanto ricostruito nel corso degli approfondimenti investigativi, gli indagati avrebbero chiesto normalmente interessi tra il 10 e il 40 per cento mensili, da ricalcolare e parametrare a interessi annui iperbolici. Uno dei casi più significativi ha riguardato un operaio industriale al quale per un prestito di 1000 euro sarebbero stati richiesti 300 euro mensili di solo interesse (30 per cento mensile – 360 per cento annuale). Sempre alla stessa vittima, per un prestito di 300 euro, sono stati chiesti 100 euro a settimana solo di interessi con un tasso usuraio illegale (33 per cento settimanale, 132 per cento mensile e 1584 per cento annuo).
Per estinguere il debito, le vittime avrebbero dovuto restituire in un’unica soluzione l’intera somma ricevuta in prestito dagli usurai più il 10 per cento della stessa, quale ultimo interesse da corrispondere. Una seconda modalità sarebbe stata quella di corrispondere, oltre a una rata periodica degli interessi, un’altra rata di importo maggiore fino a raggiungere la somma capitale avuta in prestito più il 10 per cento per l’ultimo interesse dovuto. Nel corso delle indagini – che sono state portate avanti anche con intercettazioni telefoniche, ambientali e videosorveglianza – è emersa l’esistenza di un gruppo dedito all’usura ben organizzato con ruoli definiti, meccanismi collaudati e priva di qualsiasi scrupolo nell’esigere dalle proprie vittime. Gli approfondimenti investigativi hanno permesso di individuare numerose vittime e i tassi d’interesse applicati.
Di particolare rilievo per le indagini sono state due intercettazioni: la prima tra Maria Concetta Torrisi e la figlia Caterina Fichera – finita agli arresti domiciliari – nel corso della quale la madre, fuori sede, raccomanda alla giovane alcuni incassi da fare, commentando cifre e nominativi riportati su un calendario da considerarsi uno scadenzario. In un’altra conversazione intercettata i coniugi Rosario Fichera e Maria Concetta Torrisi – adesso entrambi nel carcere di piazza Lanza a Catania – spiegano alla figlia sedicenne, con dovizia di particolari, come funziona l’usura, rimanendo spiazzati di fronte alla sorpresa della giovane che non riesce a comprendere come mai, nonostante il debitore nel tempo abbia versato cifre enormi, anche tre-quattro volte i soldi ricevuti, non abbia comunque estinto il prestito ricevuto, ancora interamente preteso. La conclusione che traggono i due coniugi, quasi delusi, è che la figlia non potrà dedicarsi all’«attività di famiglia». Dalle indagini è emerso che anche i genitori di Fichera, oggi defunti, avrebbero esercitato la stessa attività illecita di usura: nel 2013, infatti, le due generazioni dei Fichera sono state arrestate nell’ambito dell’operazione Affari di famiglia, in quanto responsabili di associazione per delinquere finalizzata all’usura. Dagli approfondimenti è stato accertato che Fichera, nonostante l’ingente disponibilità di denaro, avrebbe percepito indebitamente il reddito di cittadinanza. Mario Patanè ha ricevuto il provvedimento restrittivo della custodia in carcere dove si trova già detenuto per altra causa.