Uomo con disturbi va in crisi, soccorso dopo tre ore Il padre: «Solo di fronte a una città indifferente»

Un uomo con problemi psichiatrici cade in strada, batte il viso sul marciapiedi, si ferisce. E va in escandescenza, aggredendo il padre. Ma il servizio di igiene mentale, allertato dal genitore, arriva dopo tre ore. La scena si svolge in via Umberto, nel centro di Catania. Un episodio che poteva concludersi con serie conseguenze, visto che il giovane, sotto psicofarmaci, aveva bevuto parecchio alcool, ma che è solo un piccolo spaccato di solitudine e disperazione

Intorno alle 15 di giovedì Alessandro, 40enne con problemi psichiatrici, cade battendo il viso, ha la faccia sporca di sangue ed è in uno stato di forte agitazione. Una coppia che passa da lì lo vede e chiama i soccorsi. Il ragazzo, però, rifiuta di essere medicato dall’operatore del 118. Di fronte al comportamento aggressivo del giovane, il padre – barbiere con una sala vicino al luogo dell’incidente e nel frattempo intervenuto – decide di richiedere un trattamento sanitario obbligatorio. Secondo quanto riferito dal genitore, il figlio Alessandro prende l’Alprazolam, un farmaco indicato nel trattamento dell’ansia associata alla depressione, e probabilmente ha bevuto parecchio alcool. Un mix pericoloso per la sua salute e per l’incolumità dei presenti. 

Comincia così l’odissea dell’operatore del 118 che deve fare circa dieci telefonate per ottenere una risposta sul da farsi. Come in una partita a ping pong, viene rimbalzato di volta in volta: la polizia municipale consiglia di chiamare il servizio di igiene mentale perché «a loro bisogna chiedere il Tso», ma al telefono non risponde nessuno. Nel frattempo Alessandro diventa instabile, perde l’equilibrio cadendo a terra e comincia a battere con i pugni sul vetro. La polizia assicura che arriverà di lì a poco. Ma non arriva nessuno. I carabinieri precisano che è il padre a dover chiamare i vigili urbani, perché loro, i militari dell’Arma, non possono intervenire finché non c’è un’aggressione contro terzi. 

Finalmente qualcuno dal servizio di igiene mentale risponde all’operatore del 118 e garantisce l’invio di uno psichiatra. Che arriva soltanto alle 18.30. Tre ore e mezza dopo. Nel frattempo l’operatore va via e Alessandro ha una forte crisi: diventa molto aggressivo, spinge il padre facendolo cadere a terra, batte con i pugni contro i vetri del salone da barbiere. I passanti spaventati fermano una macchina dei carabinieri che dicono di non essere della zona e di non poter intervenire. Minacciati di essere denunciati per mancanza di soccorso, alla fine si fermano e riescono a calmare in parte il ragazzo.  

Alle 18.30, come detto, insieme alla polizia municipale, arrivano quattro psichiatri del servizio dell’igiene mentale che visitano Alessandro, gli somministrano una iniezione e vanno via. «Pensavo che lo avrebbero portato in ospedale, invece lo hanno lasciato qui e mi hanno consigliato di curarlo – racconta il padre – Siamo soli, siamo una famiglia persa. Non sappiamo cosa fare, io sono anziano, mia moglie è malata e mia figlia è ancora una ragazza. Non riusciamo a tenere sotto controllo Alessandro, che a volte beve e gli vengono queste crisi. Può recare danno a sé e agli altri. Ieri qui si è sfiorata la tragedia, avrebbe potuto servirsi di forbici o di lame nel mio salone e farsi male». 

L’anziano genitore lamenta i ritardi dei soccorsi qualificati. «Siamo nelle mani di nessuno, di istituzioni sorde, di una città indifferente. Mio figlio non è un ragazzo cattivo, ha studiato al liceo artistico, dipinge, ma è disadattato, non riesce ad inserirsi nella società e io non so cosa fare. Ha 40 anni e quando io e sua madre moriremo non so che fine farà. Questa situazione non riguarda solo la mia famiglia, ci sono tante persone che hanno lo stesso problema e sono lasciate sole». Il padre piange mentre parla. «Non avevo mai pensato di richiedere un Tso, sento di tradire mio figlio, non so come lo trattano lì. Ma ora ho la certezza che anche quello sarebbe inutile, tanto fanno a scarica barile, è una verità dura da accettare ma resto solo con il mio dolore».

Sanaz Alishahi

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