Nel 2016 l’università di Catania era nel caos. Quando l’ex rettore dell’ateneo Giacomo Pignataro veniva intercettato con Francesco Basile – che poi ha preso il suo posto e che da stamattina è sospeso dalle sue funzioni – non erano giorni semplici. L’inchiesta Università bandita della procura di Catania ha messo sottosopra il mondo accademico come mai era accaduto prima d’ora, ma di altri momenti in cui – per usare le parole di Basile, intercettato – «l’esercito» è stato «in subbuglio» ce ne sono stati parecchi. Non ultimi quelli usati dai magistrati per descrivere il meccanismo di «pizzini» e cooptazione che avrebbe portato all’elezione del Consiglio di amministrazione in carica per il quadriennio 2017-2021. È questa la vicenda che fa da sfondo ai presunti concorsi truccati che costituiscono il cuore del fascicolo aperto dai magistrati. A giugno di quattro anni fa, quando partono le indagini, il caso Lucio Maggio è ancora lungi dal dirsi concluso. È dalla vicenda che riassumiamo di seguito che cominciano gli accertamenti degli uffici di piazza Verga.
Il caso Lucio Maggio
Lucio Maggio è l’ex direttore generale dell’università di Catania. Nominato negli anni del rettorato del fu magnifico Antonino Recca (che ha ricoperto il ruolo di vertice dell’ateneo fino al 2013), viene licenziato – al termine di un provvedimento disciplinare – nel 2014, da Giacomo Pignataro, nel frattempo eletto al posto di Recca. Pignataro ottiene prima il benestare da parte del Senato accademico e poi quello del Consiglio di amministrazione. Ma Maggio, spalleggiato da Recca e da altri suoi fedelissimi, dà battaglia. Ne nascono una spaccatura profondissima nel cda e una contesa giudiziaria che, in quegli anni, sembra non finire mai: dal tribunale del Lavoro al Tar di Catania, fino al Consiglio di giustizia amministrativa. Passando per le aule di piazza Verga, dove Maggio e Pignataro si querelano e ri-querelano.
Durante uno dei periodi in cui Maggio viene reintegrato, firma alcuni dei documenti più controversi della storia dell’ateneo: la nomina di quattro super-dirigenti e l’attribuzione al direttore generale (in quella fase, a se stesso) del ruolo di unico «raccordo con gli organi di indirizzo politico-amministrativo dell’ateneo». La questione, anno dopo anno, si fa sempre più spinosa. Di mezzo c’è un’indagine in cui la procura accusa Maggio e Carlo Vicarelli, ex dirigente dell’area Servizi generali e gestione amministrativa del personale, di avere fatto firmare a Pignataro una nota lacunosa – su richiesta della Corte dei Conti e dell’avvocatura di Stato – in cui si ometteva il parere contrario dei revisori dei conti dell’università riguardo alla nomina e alla riconferma dei dirigenti di prima fascia.
La querelle giudiziaria dura oltre quattro anni: prima Maggio viene re-integrato e per lui viene stabilito un maxi-risarcimento, poi l’avvocatura dello Stato fa ricorso e, infine, la Corte d’Appello (sezione Lavoro) del tribunale di Catania dà ragione all’ateneo e condanna l’ex direttore generale al pagamento delle spese processuali per quasi ventimila euro. Quest’ultimo passaggio si verifica a giugno 2018, un anno fa. Nel frattempo, dopo Maggio vengono nominati due nuovi direttori generali: prima Federico Portoghese, in era Pignataro, e poi Candeloro Bellantoni, in era Basile. È Bellantoni, papa straniero, a lamentare i rallentamenti che subisce il suo lavoro negli uffici, annunciando le sue dimissioni, poi non accolte dal rettore.
Lo statuto illegittimo
Nel 2011, l’allora rettore Antonino Recca vara il nuovo statuto dell’università degli studi di Catania. Una serie di rilievi mossi dal ministero dell’Istruzione aveva spinto gli stessi dirigenti del Miur a presentare un ricorso che, in prima battuta, aveva sancito l’illegittimità dello statuto; decisione successivamente confermata anche dal Cga a marzo 2015. Nel frattempo, però, il nuovo magnifico Giacomo Pignataro vara – con l’approvazione di senato accademico e cda – delle modifiche che superano le criticità iniziali evidenziate dal ministero. Tesi, questa, confermata anche dal direttore generale del Miur. Su questo punto, in contemporanea con l’apice della tensione con Lucio Maggio, si apre un taglio giudiziario: una professoressa recchiana chiede che vengano fatte nuove elezioni degli organi di governo dell’ateneo (rettore, consiglio di amministrazione e senato accademico) che stavano al loro posto in virtù di uno statuto (quello di Recca) illegittimo. Il Consiglio di giustizia amministrativa le dà ragione, ma permane qualche dubbio sulla necessità di procedere a nuove elezioni del rettore. L’ateneo chiede, dunque, chiarimenti. Che puntualmente arrivano: sì, ci sono da rifare anche le elezioni del rettore.
Pignataro, in un primo momento, annuncia la ri-candidatura. Poi, per via di un clima che definisce «torbido», si tira indietro. Per usare le sue stesse parole, registrate dalle forze dell’ordine, «se in una squadra di calcio il capitano si fa male, la squadra continua a giocare con gli stessi giocatori e la fascia di capitano la prende un altro». Parte così il valzer delle candidature: i primi nomi che si fanno, tra quelli di chi è a lui vicino, sono quelli di Francesco Basile, Filippo Drago e Giancarlo Magnano San Lio (oggi tutti indagati). Il resto è più o meno storia: Basile e Drago si candidano, in effetti, ma quest’ultimo si ritira a cento metri dal traguardo e annuncia il suo appoggio all’attuale rettore. A contendere il posto a Basile rimane soltanto Enrico Foti, che però ottiene meno della metà delle preferenze del vincitore.
Il consiglio di amministrazione
Il consiglio di amministrazione è costituito con decreto del rettore ed è composto dal rettore stesso, da tre componenti esterni all’ateneo, da cinque componenti interni all’ateneo e da due rappresentanti degli studenti. Le candidature vengono aperte da Giacomo Pignataro a luglio 2016, ma le procedure vengono portate a termine da Francesco Basile all’inizio del 2017. In quella fase, le cordate si muovono per portare acqua al proprio mulino: da una parte ci sono i docenti che stanno con Pignataro e contro la passata gestione (gli strascichi della quale hanno condannato l’ateneo ad anni di immobilismo), dall’altra – invece – l’opposizione. Al centro, il bisogno di ristabilire la stabilità all’università di Catania.
Come in politica, così nell’accademia. In questo caso, è ai docenti che sarebbe stato dato l’indirizzo di partito: «Basile li ha benedetti tutti e quattro, quindi abbiamo obbedito al rettore. Questo è quello che abbiamo fatto», è la sintesi del professore Giovanni Gallo, direttore del dipartimento di Informatica dell’ateneo, adesso indagato anche lui. Per i magistrati della procura di Catania, che mutuano le parole dell’altro indagato Uccio Barone (ex preside di Scienze politiche), la scelta dei componenti di un organo di indirizzo politico-amministrativo è stata fatta coi «pizzini». E tanto basta a prevedere l’associazione a delinquere.
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