Cari lettori, con questo weekend iniziano gli speciali di Step1. Due giorni per leggere, guardare, ascoltare, approfondire temi e eventi culturali, ma non solo. Partiamo dal cinema, con due rassegne di "corti": Magma (Acireale) e il Volcano Film Festival di Torre Archirafi (Riposto): video brevi, intensi e a basso costo
Una colata di creatività
Il Volcano Film Festival ha come scopo principale il confronto tra giovani film-maker e autori affermati per sviluppare sempre più i momenti di produzione culturale con immagini e visioni, linguaggi e metodi produttivi nuovi. L’edizione di quest’anno ha assegnato il premio “Volcano” per la migliore opera prima ad “Amelia” di Chiara Idrusa Scrimieri perché, in 17 minuti, attraverso uno stile asciutto e personale, dipinge una irriverente “maestra di vita” il cui feroce humour è sembrato – a detta degli esperti – il miglior antidoto alla retorica della terza età. Invece il premio Volcano – concorso internazionale – sezione “Lapilli”, è andato a “Memoires d’une famille cubaine” di Yan Vega perché – secondo il giudizio unanime della giuria – il regista, partendo da una materia prima comune e inerte come le foto di famiglia, è riuscito, con una tecnica raffinata ed efficace, anche se non innovativa, a riportare in vita i suoi ricordi facendo “parlare” le immagini di un’epoca rivoluzionaria in una nazione tribolata come Cuba. Ma perché questa rassegna è diversa dalle tante altre, organizzate in Italia? Cerchiamo di capirlo insieme al suo direttore artistico, Giuseppe Cammarata.
Cammarata, cos’è il cinema artigiano?
E’ quel cinema che si fa anche soltanto con le idee e con la voglia di fare senza grossi fondi e mezzi, che, appunto, quasi tutti possono fare in casa con tecniche digitali. Ma nonostante sia spesso un cinema “povero” riesce lo stesso a raggiungere alti livelli qualitativi.
Come descriverebbe il festival in modo da invogliare chi non lo ha visitato a inserirlo tra gli appuntamenti dell’anno prossimo?
Semplice: è una festa di cinema che abbandona la tipicità dei consueti festival-vetrina dove molto gettonati sono gli incontri esclusivi. Invece, in una forma tipicamente “artigianale”, qui si possono vedere i tecnici e gli organizzatori che provano i dvd in piazza; i registi, gli ospiti, gli sceneggiatori e tutti coloro che passano per il festival cercano di comunicare tra loro, vanno al mare insieme, discutono. Si creano così spazi di incontro e di condivisione: questo è ciò che ci siamo prefissati di costruire negli anni per continuare quest’avventura.
Un viaggio avventuroso iniziato nel 2005… Come in ogni viaggio è importante sia la partenza sia l’arrivo, ovvero l’idea e l’obiettivo, senza dimenticare però il tragitto. I dettagli?
Il Festival nasce come un esperimento. Avevamo tanta voglia, ma la possibilità solo di fare un piccolo Festival di tre giorni. Volevamo portare da fuori alcuni film in Sicilia: film a cui avevo lavorato personalmente, altri che avevo visionato e mi erano piaciuti. Film di piccola distribuzione che difficilmente sarebbero arrivati in Sicilia. L’idea era di portare la gente con cui avevo lavorato fuori e la mia esperienza a casa mia. Da lì in poi abbiamo strutturato un po’meglio inserendo più sezioni. E’ una rassegna giovane, sperimentale infatti quest’anno è nata una nuova sezione per completare l’idea di festival alternativo.
Monografie di Alberto Grifi, Sergio Citti e quest’anno di Carlo Lizzani (gli ultimi due hanno collaborato con Pasolini). Ci racconta queste scelte importanti e mirate?
Sì, abbiamo iniziato con Alberto Grifi perché è stato il mio maestro e con lui ho imparato cosa fosse il cinema artigiano: lui è il padre fondatore del cinema underground. Da lì è stato facile: abbiamo scelto Citti per rendere omaggio alla sua recente scomparsa e Lizzani perché è il fautore del Neorealismo.
Perché c’è stato il “buco” del 2007?
Per mancanza di fondi. Il festival indipendente. aiutato solo dal Comune di Riposto. non riusciva ad andare avanti. Così abbiamo deciso di fare una biennale per raccogliere le forze e per avere più tempo per organizzarlo, dato che nessuno di noi è pagato. Quest’anno ci ha sostenuto anche la provincia di Catania. Stiamo lavorando per riuscire a riproporlo ogni anno.
Questo festival sembra rappresentare una finestra aperta sul mondo del sociale, ma trattando le tematiche in modo leggero e creativo. Su quali criteri si è basata la vostra scelta di corti-lungometraggi e documentari?
Sono poco commerciali e si inseriscono nel cinema di genere e nel cinema sociale con un linguaggio che a me piace molto: sono stati scelti sia per la forma tecnica, visiva e artistica sia per i contenuti. Alcuni documentari (anche quelli d’inchiesta) sono stati realizzati con 500 euro ed una telecamerina, ma la qualità visiva è eccezionale.
Qualche aneddoto da raccontare?
Tutti gli anni il prete vorrebbe fare una messa prima delle proiezioni oppure litighiamo con i vigili che non fanno togliere le macchine davanti allo schermo. O ancora episodi non molto simpatici con la Cineteca Nazionale: quando ci ha spiegato che non aveva tempo di cercare un film per noi che siamo un piccolo festival perché stava lavorando con i festival di Venezia e Locarno. Tutto questo ci fa venire ancora di più la voglia di andare avanti.
Nei giovani cineasti di questa edizione ha notato più passione o voglia di emergere e basta?
C’è chi “usa” i cortometraggi come “palestra di allenamento”; c’è chi sceglie questo genere e quindi lavora su determinati tempi e tecniche. Ho riscontrato molta passione.
Non possiamo chiederti quale opera presentata al festival sia per te la migliore, ma le caratteristiche che ti hanno colpito di più?
Mi piacciono le storie che giocano su quello che è stato il cinema e su quello che sarà; le opere che mescolano i linguaggi: fotografia, grafica, video insieme in un artigianato materiale.
Arrivano più lavori dall’estero o dall’Italia?
In media arrivano 200 lavori all’anno, una cinquantina dei quali stranieri grazie ad un bando, che mettiamo nei siti e in rete, perché non abbiamo tanti contatti diretti con registi all’estero. Devo dire che l’Europa ci sostiene: abbiamo corti francesi, spagnoli, tedeschi, ma anche brasiliani.
Avete trovato buoni circuiti di distribuzione?
In Italia è proprio questo il problema: film di grossa levatura qualitativa possono non trovare vie d’uscita e quindi un numeroso pubblico. Ma anche la distribuzione può essere artigianale partendo dal basso attraverso una sorta di coproduzione con chi vorrà vedere il film, senza passare dalle grosse distribuzioni. Oppure un’altra soluzione è la distribuzione via edicola (Repubblica, Il Manifesto già lo fanno).
La speranza di avere un pubblico sempre più numeroso è stata soddisfatta?
Sì e speriamo di crescere ogni anno. Notiamo equilibrio: in piazza (dove proiettiamo i corti in concorso) c’è un buon ricambio di pubblico e non mancano gli addetti ai lavori; l’altra area (Palazzo Rosso) con i suoi lungometraggi indipendenti è più visitata dagli esperti e dagli appassionati del genere.