Il provvedimento è arrivato dal tribunale del Riesame. L'immobile di via Ventino, sottoposto a sequestro a ottobre per abusi edilizi e problemi di staticità, era stato poi dissequestrato dal gip che aveva riconosciuto che non c'era pericolo di crollo
Un nuovo sequestro disposto per la palestra Virgin Tra i sei indagati anche tre funzionari del Comune
Un nuovo sequestro per la palestra Virgin di Palermo. Il tribunale del Riesame ha disposto il sequestro dell’edificio in via Gioacchino Ventino accogliendo il ricorso presentato dal pool della procura. L’immobile era già stato posto sotto sequestro a ottobre per abusi edilizi e problemi di staticità. Il proprietario aveva poi ottenuto dal gip il dissequestro (perché il giudice ha riconosciuto che non c’era pericolo di crollo) e il palazzo era tornato nelle disponibilità dei locatari del noto centro fitness.
Dalle indagini era emerso che per l’edificio era stata presentata agli uffici comunali una Dichiarazione di inizio attività (Dia) per lavori di ristrutturazione. L’intervento edilizio, però, avrebbe comportato un aumento della superficie e anche una diversa sagoma esterna. Per questo, ci sarebbe stato bisogno di permesso di costruire. Inoltre, in questo modo non sarebbero stati corrisposti oneri di urbanizzazione per 59mila euro. Era emersa poi anche l’esistenza di criticità su calcoli strutturali tali da compromettere la staticità dell’edificio. In sostanza, la struttura non sarebbe stata adeguata secondo gli standard antisismici a sopportare il carico della nuova costruzione. Un rischio per la pubblica incolumità che il giudice ha però poi escluso.
Nell’inchiesta che ha portato al sequestro ci sono sei indagati: il legale rappresentante della società proprietaria Filippo Basile, il progettista e direttore dei lavori fatti per ampliare la struttura Antonino Lo Duca, il titolare della società esecutrice dei lavori Tommaso Castagna e i funzionari del Comune, l’architetto Giuseppe Monteleone, dirigente responsabile dello Sportello unico attività produttive (già coinvolto nell’inchiesta e nel processo Giano bifronte), Antonino Zanca e Sergio Marinaro che istruirono la pratica.