Un ‘dire’ siciliano tra prestigio e ricercatezza

La copertina, in una pittura figurativa e espressiva di buona fattura, presenta un uomo sui quarant’anni, dall’aspetto interessante con sguardo attento profondo ma solcato da qualcosa di impalpabile alla vista, capelli brizzolati, labbra sensuali che sta di fronte ad una scacchiera, nella quale svetta – in primo piano – un cavallo e di lato una torre, tra colori forti, ben dosati. Ultimo scacco è il titolo. Autrice dell’eloquente dipinto è Gabriella La Lumia. Il libro è pubblicato dalla Fondazione Thule Cultura, nel 2009 (la casa editrice e relativa Fondazione culturale fondate e dirette dal professore Tommaso Romano, poeta scrittore e uomo politico palermitano, ha qualche giorno addietro festeggiato in pompa magna, nella magnifica sala Martorana di Palazzo Comitini, i suoi quarant’anni di vita: un miracolo per iniziative culturali in Sicilia e ancora di più per Palermo).
Nel retro di copertina si legge: “La vita di un uomo solitario, i cui unici compagni sono i pezzi degli scacchi e la bottiglia di cognac. Troverà il suo riscatto nel contatto con gente semplice e solida, ma il destino lo attenderà all’ultima partita, alla scacchiera”. Poi la scheletrica scheda biografica: “Giuseppe Alessi, avvocato, imprenditore agricolo, appassionato giocatore di scacchi è nato e vive a Palermo.” La pubblicazione è dedicata a sua figlia Annalisa: un atto d’amore.
Nell’ultima pagina di testo sono riportate due massime lapidarie. La prima è di Garri Kimovi? Kasparov, il grande Maestro, campione del mondo dal 1985 al ‘91 per l’URSS e da allora fino al 2000 per la Russia, che sostiene: “Il gioco degli scacchi è lo sport più violento che esista”. L’altra è Wilhelm Steinitz, ebreo, scacchista austriaco, naturalizzato statunitense dal 1888, primo campione del gioco, considerato il “padre degli scacchi moderni” (per aver introdotto i concetti del gioco posizionale, che oggi sono alla base della pratica scacchistica) e definito “il Michelangelo degli scacchi” per la sua appassionata dedizione, che si è espresso: “Il gioco degli scacchi non è per animi pavidi”.
Dall’indice, invece, apprendiamo che il primo capitolo è intitolato “Il quadro di Pietro Novelli” e l’ultimo: “Avec vous en coeur”. I personaggi principali che animano la storia sono Domenico Balmonte (dal cognome non insulso che apre la fantasia alla possibilità di essere un nobile), il protagonista; Sergio Sfossati, ottantenne portati bene ma strozzino; l’avvocato c un “Azzeccagarbugli da strapazzo” e delinquente; Saro e Teresa, due belle figure positive di agricoltori. Seguono diverse comparse e chiude il cast una deliziosa francesina, tale Françoise Borel, una giocatrice di scacchi.
Un libro si scrive perché riteniamo debba trasmettere qualcosa; lo si deve comprare per leggerlo; chi commenta deve avere, a nostro modesto avviso, il compito di divulgarne i pregi, denunziarne i difetti, senza raccontarne la trama, se trattasi di narrativa, per gli ovvi motivi e anche per non togliere agli altri eventuali lettori il piacere di gustare la storia. Sono da bandire la banalità e l’ovvietà, anche perché se i tra i dettami della democrazia, in particolare di questa nostra, c’è – sì è vero l’onesta libertà di stampa -, non si può tollerare che ognuno possa dire la sua e pubblicarla. Il risultato è, spesso, la circolazione di troppa carta stampata, che occupa scaffali e scaffali di librerie e spazi vitali in edicole. Alzando, poi, il concetto, ai veri e propri “pareri”, si deve essere molto attenti e onesti a emetterli, si potrebbe, in buona o cattiva fede incorrere nelle “stroncature”, pericolose per natura. La storia letteraria è piena di direttori editoriali che non hanno capito il valore del manoscritto, per il quale erano stati chiamati a decidere. Uno per tutti Il Gattopardo, stroncato da Vittorini e rifiutato da S. F. Flaccovio.
In omaggio a questi dettami, c’è da dire che l’avvocato Alessi, nuovo alle avventure dello scrivere e del “raconter”, ha confezionato un “prodotto letterario”, ricco di personaggi, di stati d’animo ben delineati, di situazioni probabili, da creare una storia possibile, interessante, ben orchestrata, avvincente, che scorre con il sapiente utilizzo di una scrittura piana, impreziosita da citazioni classiche, poetiche e da qualche modo di dire “nostro”, siciliano, che gli conferiscono prestigio e ricercatezza: un tocco di classe.
Ultimo scacco è una pubblicazione esitata nel dicembre 2009, pervenutaci per la fortuita circostanza di una chiacchierata, tra autore e chi scrive, durante una “interminabile” coda d’attesa in un ufficio postale e non per un corretto invio presso la redazione di un qualsiasi periodico. Già i due anni, nel silenzio più totale, stanno a significare che l’editrice del libro di Alessi non dispone di distribuzione. Purtroppo non è la sola in Sicilia. E la qualcosa non fa altro che alimentare le certezze su quel problema che tempo addietro, parlando del libo di Vincenzo Prestigiacomo, abbiamo accennato. Come si può esportare cultura se non si dispone dei sufficienti mezzi che permettano di uscire dalla ristretta cerchia che, come nel caso in oggetto, è già cittadina? ? uso, di solito, che le pubblicazioni vengano tenute a battesimo con la formula della classica presentazione, officiata da personaggi in vista della cultura, in un luogo ricercato, alcune volte di fronte ad un folto pubblico (a secondo delle conoscenze dell’autore), come nel nostro caso è già avvenuto in una sala di palazzo Jung, gremita di conoscenti e amici della famiglia Alessi, con la partecipazione significata di Nino Aquila e dello stesso Romano.
Poi chissà per quale arcano mistero economico-amministrativo, alcuni editori preferiscono affidare le loro pubblicazioni ad una sola libreria. Ma può la stessa, senza adeguato supporto pubblicitario, promuovere? Molti editori, altezzosi e in dispregio al comune senso del rispetto, prima umano e poi commerciale, fidano sulle loro capacità imprenditoriali, “promettono mari e monti” … ma le cose sono, evidentemente, diverse.
Si alimenta, così, come già constatato il cosiddetto “sottobosco letterario”, produttivo folto e vario, ma solo “sottobosco”. Un vero peccato!

 

 

 

 

 

 

 

 


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