Un corteo rosso di rabbia

Storie di ordinaria protesta si sono intrecciate venerdì 12 dicembre, a partire dalle 9 del mattino, in piazza Dante, dove si è concentrata la massa di manifestanti aderente allo sciopero generale dei lavoratori e degli studenti indetta dalla Cgil.

Partito il corteo, verso le 10:30, è stato subito evidente che c’era qualcosa di diverso dal solito: tante bandiere al vento, tante sigle. Ad aprire il cordone, varie branche della CGIL, lavoratori, pensionati ed immigrati, seguiti a ruota dagli insegnanti di sostegno, dai precari della scuola, dalla Rete degli Studenti Medi e dall’Udu, i cui membri chiudevano, di fatto, il primo grosso filone.
 

Al centro, i Ricercatori Precari tenevano alto lo striscione che li ha accompagnati fedelmente dall’inizio delle manifestazioni ad oggi.
Alla fine, il camioncino del Movimento Studentesco Catanese, coi soliti noti megafomani ad incitare la folla, seguito da un altro mezzo battente una bandiera diversa, finora mai sventolata: Rifondazione Comunista.

Il valzer delle stime delle presenze si è ripetuto ancora. Per un agente della Polizia i partecipanti sarebbero stati, volendo essere generosi, tra tremila e 5mila. Secondo un carabiniere, sentito qualche metro dopo, solo un migliaio. E un collega di quest’ultimo invece, sosteneva che fossero il doppio, forse pochi di più. Diverse le cifre per i ragazzi dell’MSC: per loro c’erano 7mila persone. Infine, la CGIL si è dichiarata soddisfatta: «L’obiettivo era arrivare alle 10mila presenze, e siamo di più!»

Quali che fossero i numeri, lo strano dato che s’è registrato non ha nulla a che vedere con la quantità di persone in strada: si tratta della frammentarietà del serpentone di protesta, almeno per quanto riguarda il settore universitario.
Abbiamo chiesto a Daniele Sorelli, dell’Udu, il perché della separazione tra il loro gruppo e quello dell’MSC. «Noi siamo integrati nella CGIL ma, oltre a questo, c’è un motivo prettamente politico: come Unione degli Universitari condividiamo la battaglia contro la Gelmini e sappiamo che il fronte della protesta deve essere il più ampio possibile. Dal punto di vista delle proposte, invece, ci distacchiamo dagli altri, abbiamo delle idee un po’ diverse ed è anche giusto nonché positivo che noi riusciamo a differenziarci.»

Nonostante le differenze, alle 12 il corteo s’è raccolto in piazza Università, dove, da un palco che guardava in faccia il Rettorato, si sono avvicendati gli interventi di svariate figure.

Francesco Marino, MSC, ha parlato della vicenda di Farmacia, «da cui tutt’ora traspare una tragicità assurda. I nostri morti non sono diversi rispetto a quelli della Thyssen Krupp, o a quelli di Mineo di qualche mese fa: sono assassinii di Stato! Perché in Italia non esiste la cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro…». Secondo Marino, la situazione sarebbe arrivata al collasso a causa del sistema: «Nella nostra nazione esiste una piaga incredibile, e si chiama precariato. Ed esiste un’altra cosa, forse più grave, che si chiama baronato e ci tiene con un cappio al collo». Al termine del suo intervento, Marino ha spiegato le richieste degli studenti della Cittadella: una riduzione delle tasse universitarie, addirittura l’intera seconda rata, poiché ad esse dovrebbero corrispondere dei servizi, quali la certezza che le strutture in cui studiano siano dichiarate sicure, certezza che ancora non c’è. Che li ascoltino o meno, i ragazzi hanno annunciato che queste tasse non le pagheranno.

Ha parlato di omicidi di Stato anche Matteo Iannitti, anche lui dell’MSC, riferendosi al caso di Alexis, il quindicenne greco morto ad Atene pochi giorni fa, e a quello di Carlo Giuliani «il nostro morto, barbaramente ammazzato dalla Polizia a Genova, nel 2001». Iannitti si rifiuta di dire che il Governo ha fatto un passo indietro sulla riforma, poiché «un passo indietro sarà fatto quando si dirà in maniera esplicita e si dimostrerà coi fatti che l’istruzione pubblica, in Italia, non sarà più vista come un capitolo di spesa, ma come una risorsa sulla quale investire». Parole poco benevole anche per l’opposizione definita «tiepida, che non rappresenta nulla e nessuno e che dichiara un successo gli ultimi provvedimenti della Gelmini.» Spazio anche alla crisi. «Sarebbe ingenuo pensare che è solo la finanza di carta che ha causato tutto. La crisi è del sistema, è cominciata vent’anni fa, ed è continuata coi patti per l’Italia del ’92-’93, quando 120 miliardi di euro sono passati dai salari ai profitti.»

Dopo un minuto di silenzio in memoria dei morti «ammazzati dallo Stato», Paola Agnello Modica, segretaria confederale della CGIL, ha sottolineato che discutere di “sicurezza” non significa puntare il dito contro gli immigrati, bensì essere certi di tornare a casa dopo una giornata trascorsa a lavorare per una giusta retribuzione. A proposito di crisi, Modica ha citato un documento della Commissione Europea, dicendo che «si esce dalla crisi aumentando il potere d’acquisto dei lavoratori, dei pensionati, ed investendo in ricerca e innovazione, in opere immediatamente cantierabili, nei giovani, nella formazione, nell’istruzione e nelle nuove tecnologie. Si esce dalla crisi, rispettando il principio fondamentale della solidarietà e della giustizia sociale, impiegando denaro nel futuro e nella salvaguardia dell’ambiente».

Tempo e parole vengono spesi anche per il Libro Verde del Ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, nel quale dovrebbero essere racchiusi dei consigli su come migliorare il Paese, ma che, secondo la CGIL, vuole essere un superamento dell’idea della contrattazione collettiva e dello stato sociale, rinviando tutto agli enti bilaterali. «E chi dipende da un’impresa che decide di non aderire a un ente bilaterale? Chi sono quegli uomini e quelle donne? Non hanno diritto a una loro dignità? Einstein ha detto che non si possono risolvere i problemi usando gli stessi metodi che li hanno creati, e noi abbiamo individuato sei nuovi metodi: sostegno all’occupazione, al reddito, agli investimenti pubblici, alle politiche industriali, ai servizi sociali, e alla coesione sociale», spiega nuovamente la Modica.

E i contratti? «Non firmeremo. Dicono che diciamo solo “no”… Beh, che cambino la proposta!»


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