Classe 1981, è il capitano della squadra del Catania. Come tanti ragazzini è cresciuto a pane, pallone e spiaggia, ma se la passione per il calcio a 11 la considera innata, quella per il beach la scopre più tardi. Un amore nato circa dieci anni fa per caso e che gli ha dato tante soddisfazioni. Dal 2008 è convocato in nazionale fino a diventarne, l'anno scorso, vice capitano
Un catanese nella nazionale di beach soccer Peppe Platania: «Sono nato calciatore»
È il capitano del Catania, nonché il vice della nazionale italiana di calcio giocato sulla sabbia: il beach soccer. Classe 1981, il suo nome è Giuseppe Platania, Peppe per gli amici. Come ogni bravo maschietto che si rispetti è cresciuto giocando a pallone, «passando interi pomeriggi nel cortile di casa», racconta. Ma se lamore per il calcio lo considera innato e a otto anni comincia ad allenarsi agonisticamente, quello per il beach lo scopre molto più tardi.
Travagliata sin da subito è però la sua carriera e tra allergie, setto nasale deviato e bronchite asmatica, a 11 anni deve fermarsi. Stare lontano dai campi di calcio, tuttavia, per Peppe che racconta di avere anche fatto un provino con il Milan, è impossibile, così a 14 anni torna in campo. Tesserato del Catania calcio, vince il campionato regionale del settore giovanile, poi cambia squadra. «Un periodo bellissimo – lo definisce – in cui seguivo da bordo campo le partite della prima squadra la domenica. Ricordo bene quando morì Angelo Massimino e della grande tristezza che ha lasciato». Finisce la carriera a 20 anni giocando per il Ragusa in serie D, ma tante sono le difficoltà superate pur di non lasciare il campo. Dopo quelle delletà adolescenziale, infatti, contano anche il cuore datleta, un po più grosso del normale, problemi dasma legati a unasprirometria leggermente al di sotto del normale e tre volte la rottura della caviglia. Tutti elementi che non gli hanno concesso di avere il lasciapassare medico per attività agonistica, ma che però non si sono mai interposti in modo netto tra Peppe e la sua voglia di giocare. Almeno non più dopo la pausa tra gli 11 e i 14 anni. Così, privo di certificazione medica che ne attestasse la sana e robusta costituzione, ha gareggiato sotto la sua responsabilità. Poi le decisione di smettere perché «ho capito che questa non era la strada per me», dice. Da allora lavora in proprio con una ditta di distribuzione all’ingrosso di prodotti ittici e «da diversi anni – aggiunge – mi occupo anche di pattinaggio artistico. Mia moglie è unaallenatrice e io le do una mano con la preparazione atletica».
Ma il rapporto tra Peppe e il calcio non è destinato ad essere interrotto, e così, seppure su un terreno diverso, torna in campo. Passano pochi anni e nel 2004 avviene lincontro con il beach soccer: alcuni amici gli chiedono di partecipare al primo campionato di serie A. Non era ancora ufficiale, ma riconosciuto dalla Lega lanno successivo. «Un arrivo quasi per caso, ma decisamente gradito per me che sono cresciuto con il pallone e che da bravo catanese destate andavo sempre alla Playa». Un amore che dura ancora oggi e che «mi riempie di soddisfazioni». Dal 2007 è capitano del Catania beach soccer, la stessa squadra in cui ha giocato sin dall’inizio e che per lui è diventata «come una seconda famiglia». Dal 2008, a partire dal mondiale di Marsiglia, è convocato ogni anno in nazionale fino a diventarne, lanno scorso, il vice capitano. «Sono entrambe delle soddisfazioni bellissime perché la responsabilità nei confronti dei compagni mi è sempre piaciuta e lho sempre ricercata racconta Indossare la maglia della nazionale poi, che lo dico a fare, è un grandissimo piacere».
Il passaggio dal mondo del calcio a 11 a quello sulla sabbia, però, non è così automatico come potrebbe apparire. «È decisamente un altro sport, più simile al calcio a cinque per tecnica e tattica e con qualche similitudine anche con il basket per i cambi volanti, ovvero senza interrompere la partita», spiega ancora capitan Platania. Tre i tempi di gioco da 12 minuti ciascuno, cinque i giocatori in campo e tra i 10 e 12 i giocatori in panchina. «Possono sembrare pochi 36 minuti di gara, ma giochiamo sotto il sole cocente e con una tensione continua, tanto che alla fine siamo davvero esausti», precisa.
È uno sport estivo che si gioca quando i cugini del calcio a 11 vanno in vacanza «e per questo godiamo di un po di visibilità durante i nostri campionati – dice Peppe – Come leuropeo di questa estate a Barcellona trasmesso su Raisport». Fa parte però di unaltra lega: quella dei dilettanti. Anche per questa ragione è uno sport molto più povero. «Abbiamo soltanto un rimborso giornaliero che comprende anche una diaria – spiega ancora il capitano del Catania soccer non ci si vive di certo». Divergenze, infine, anche per ciò che riguarda il tesseramento dei giocatori. Per potere giocare a beach soccer, infatti, occorre essere tesserati con una società di calcio a 11 dilettantistica. «Non puoi essere un professionista e questo è un modo per tenere i ragazzi in forma dato che a beach non si gioca tutto lanno », conclude Platania.
[Foto di Platania e Catania beach soccer]