Foto di Marios Gkortsilas

Truffe per ottenere contributi pubblici, confiscati terreni a due imprenditori dei Nebrodi

I finanzieri del comando provinciale della guardia di finanza di Enna hanno eseguito nei giorni scorsi due provvedimenti di confisca definitiva di beni e denaro, per un valore complessivo di circa 100mila euro, in quanto profitto del reato di truffa aggravata finalizzata al conseguimento di contributi pubblici destinati al comparto agricolo ed erogati dall’Agea, l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, commessi da due imprenditori agricoli. Il primo provvedimento di confisca riguarda il titolare di un’azienda agricola e di allevamento animali di Capizzi, in provincia di Messina, il quale, allo scopo di incassare indebitamente contributi comunitari ha stipulato una serie di falsi contratti di affitto relativi a fondi rustici.

L’imprenditore era stato condannato in primo grado alla pena di sei mesi di reclusione per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche; la condanna era stata, quindi, confermata dalla corte di Appello, ma in seguito annullata dalla Cassazione a causa dell’intervenuta prescrizione, che tuttavia, pur estinguendo il reato, non ha impedito la confisca definitiva del relativo indebito profitto conseguito dall’agricoltore. Sono stati, pertanto, confiscati cinque fondi agricoli, estesi per oltre 40 ettari, nonché titoli e somme di denaro depositati in conti bancari, per un valore complessivo di circa 75mila euro, pari all’ammontare dei contributi indebitamente percepiti.

Nel secondo caso, che ha riguardato una donna titolare di un’azienda agricola di Troina, sono stati i militari della tenenza di Nicosia a denunciarla al termine di una approfondita indagine che ha portato alla luce una serie di false certificazioni attestanti il possesso di vasti terreni per ottenere illecitamente contributi.. Anche la donna in questione, imputata per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, è stata condannata in primo grado alla pena di un anno e sei mesi di reclusione, poi confermata dalla corte di Appello di Caltanissetta, con la quale era stata altresì disposta la confisca del profitto del reato. Il successivo ricorso alla Corte di Cassazione, dichiarato inammissibile, ha sancito pertanto la definitiva condanna.


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