Tributi, l’accordo Stato-Regione per attuare lo Statuto Per la Sicilia nuove entrate ma rinuncia ai contenziosi

«Erano decenni che si attendeva una norma di attuazione in materia di entrate da tributi in Sicilia». Ne è certo Antonio La Spina, presidente della commissione paritetica, l’organismo – formato da cinque membri in rappresentanza della Regione Sicilia e del governo nazionale – che ha lavorato per oltre un anno all’accordo Stato-Regione siglato tra il governatore Rosario Crocetta e il premier Matteo Renzi, che ha destinato per il 2016 la somma di 500 milioni di euro alla Sicilia e 1,7 miliardi a partire dal 2017. La soluzione per rendere concreto quello che da sempre è contenuto nello statuto siciliano.

«In questo caso – sottolinea La Spina – è evidente che si è trattato di una norma sui generis, perché di solito le norme di attuazione hanno una valenza generale, mentre stavolta c’è dietro un accordo politico specifico, che quantifica puntualmente le percentuali di imposte che di anno in anno saranno versate alla Regione siciliana. Si è usata, insomma, una norma di attuazione per dare un assetto stabile ai rapporti finanziari tra Stato e Regione».

Si tratta, sottolinea ancora il presidente della commissione paritetica, «di un’attribuzione alla Regione di alcune entrate che, in assenza di questa norma, sarebbero continuate ad andare allo Stato. Ci abbiamo lavorato per circa un anno, ma a dirla tutta se n’è parlato sin dal momento del mio insediamento, quasi tre anni fa. Allora i tempi non erano maturi, ma era chiaro che la direzione dovesse essere quella». Secondo La Spina, il dato determinante sta nella definizione delle entrate per il 2016 «senza le quali – sottolinea – la Regione avrebbe avuto serie difficoltà a chiudere il bilancio».

La definizione dell’accordo è nota: si tratta del 5,61 per cento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) per il 2016. Percentuale che salirà al 6,74 nel 2017 e arriverà al 7,1 dal 2018 in poi. «È evidente – sottolinea il presidente della commissione paritetica – che si tratta di un accordo che premia lo sviluppo economico del territorio: definendo le entrate in termini percentuali e non numerici, maggiore sarà lo sviluppo economico della Sicilia, maggiori saranno gli importi frutto delle percentuali stabilite. In caso di recessione è chiaro che si verificherebbe l’ipotesi opposta».

Per chiudere l’accordo, la Regione ha rinunciato a cause miliardarie con lo Stato. Secondo un prospetto presentato dallo stesso governo in aula, si parla di 4 miliardi di euro. Secondo una recente stima delle opposizioni si arriva a 8 miliardi. Crocetta ha recentemente ribadito che «l’unica sentenza favorevole» a cui la Regione sta rinunciando vale «232 milioni una tantum». Un sacrificio troppo grande per Palermo? «Questo aspetto non è stato oggetto di valutazione della commissione», si limita a commentare La Spina, rimandando alla natura politica della storica firma. 

A chi ha più volte sollevato il dubbio che dietro l’accordo possa esserci un vincolo sulla destinazione dei fondi versati da Roma, La Spina replica sottolineando che «non può esserci alcun vincolo posto da norme di attuazione, perché non lo prevede lo Statuto. Poi il legislatore regionale potrebbe sì vincolare certe allocazioni di risorse a sua scelta». E, a proposito di detrattori, in molti si sono scagliati contro l’accordo sostenendo che mortificasse gli articoli 36 e 37 dello Statuto, che prevedono rispettivamente che «al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione e a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima» e che «per le imprese industriali e commerciali, che hanno la sede centrale fuori del territorio della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, nell’accertamento dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi. L’imposta, relativa a detta quota, compete alla Regione ed è riscossa dagli organi di riscossione della medesima».

«In effetti – ammette La Spina – il problema si è posto ed è stato oggetto di una interlocuzione durata alcuni mesi. Il punto su cui si è dovuti arrivare a una mediazione è stato proprio nel rapporto tra autonomia regionale e legislatore nazionale. Perché, se da una parte non si può dire che una norma di attuazione sia subordinata a una norma statale, dall’altro lato una norma che ha effetti finanziari deve anche avere una copertura finanziaria. Insomma, alla fine l’accordo è stato frutto della mediazione raggiunta tra le parti».

Un’eccezione tutta siciliana? «Tutt’altro, accordi di questa natura ne vengono siglati con tutte le amministrazioni regionali, la Conferenza Stato Regioni serve proprio a questo. Per esempio moltissime Regioni italiane sono state commissariate sulla Sanità: fermo restando che il commissariamento in molti casi è una scelta obbligata, la gestione del rientro è bene che avvenga attraverso una cooperazione tra lo Stato e la Regione in dissesto».


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