Transgender, percorso tra rischi e burocrazia Il medico: «Molta impreparazione nel campo»

«Siamo persone prima, durante e dopo la
transizione. E quello che subiamo nelle nostre vite è inimmaginabile». Alessandro e Vittoria sono due transgender, stanno portando a termine il lungo e doloroso cammino che li sta portando verso il sesso opposto rispetto a quello biologico. Un percorso che comporta anche numerosi pericoli per la propria salute, in un campo nel quale gli specialisti sono molto rari. A Catania è in attività solo l’endocrinologo Mario Vetri, che ha un bacino di pazienti che accoglie tutta la Sicilia orientale. «Sono uno dei pochi che si occupa di questo settore», racconta a MeridioNews. «In passato ho fatto anche consulenze tecniche d’ufficio in tribunale – continua – e ho trovato molta impreparazione e tanta ignoranza in questo campo».

I
farmaci da dover assumere servono a contrastare le azioni degli ormoni propri e a inserire quelli del sesso opposto. «Alcuni degli effetti sono reversibili, altri no – spiega il medico – Alcuni sono degli effetti gradevoli, altri sono effetti collaterali». «Io sono sottoposta ad alcuni farmaci che bloccano il testosterone – dice Vittoria, studentessa universitaria catanese – Prendo anche l’estradiolo, un estrogeno femminile. Tutto questo porta il rischio di tromboembolia, oltre all’aumento di peso». Una terapia da venti euro a fiala. «Per ridurre l’anatomia femminile serve un bombardamento testosteronico – interviene Alessandro – Effetti collaterali? Fibroma, infarto, cancro, caduta di capelli, ai quali si aggiunge l’osteopatia». Anche qui si tratta di un rischio che comporta una spesa: «Sono circa cento euro ogni due, tre mesi», precisa il giovane. 

Per completare il percorso di transizione non è necessario arrivare alle operazioni chirurgiche definitive. «La tendenza dei medici è portare all’intervento finale – prosegue Vittoria – Ma sono in molti a fermarsi prima, quando i cambiamenti portati dai farmaci arrivano a un livello ottimale. In ogni caso, sono
cure da fare a vita». Inoltre, tutto è sottoposto alla decisione finale di un giudice, che può anche non concedere il cambiamento anagrafico. «Il giudice può rigettare l’istanza se i caratteri primari sono ancora esistenti», commenta con amarezza Alessandro. «È un problema culturale», riflette Mario Vetri, in servizio al
centro di Endocrinologia del Garibaldi Nesima

«Mi è capitato di incontrare ginecologi, che dovevano fare con la valutazione di una persona che aveva già fatto l’intervento, i quali confondevano omosessualità con transessualismo», spiega. E precisa: «Omosessualità e disforia di genere – l’identificazione nel genere opposto a quello biologico, ndr – sono due cose completamente diverse». Se in campo chirurgico è ancora necessario un cambiamento, non è da meno l’ambito psicologico. Per avviare un percorso medico che rispetti alcuni standard internazionali, Vetri richiede una valutazione a un professionista. Fondamentale è «l’empatia del terapeuta – sottolinea il medico – bisogna avere molta sensibilità. L’accoglienza è importante, tutt’ora c’è un’altissima percentuale di suicidi». 

In Sicilia sono pochi gli esperti in grado di seguire percorsi di transizione. «Mi capita di trovare richieste anche da altri gruppi di endocrinologi. Quello che non ho è il supporto di una equipe chirurgica», sospira Mario Vetri, che al momento segue
circa 50 persone. Eppure la soluzione potrebbe essere la creazione di un team in collaborazione con l’ospedale Cannizzaro. «Lì esiste il centro di chirurgia plastica, colleghi che hanno fatto qualche intervento di destrutturazione dei genitali maschili e la costruzione di una neovagina». L’esempio al quale mirare è Trieste, dove lavorano insieme un gruppo di medici: psicologi, otorini «per il controllo del cambio della voce», urologi e ginecologi.

Da pochi mesi al Garibaldi di Nesima «se una donna biologica vuole fare una conversione asportando utero e ovaie può farlo, con l’autorizzazione del tribunale, gratuitamente – afferma Mario Vetri – Quello che voglio realizzare, con la stessa procedura, è la possibilità di effettuare anche la mastectomia». E, allargando il cerchio, comprendendo gli interventi di chirurgia plastica da poter compiere all’ospedale Cannizzaro, «realizzare un polo qui, a Catania. Ci sono delle difficoltà burocratiche infinite – ammette lo specialista – ma la speranza è l’ultima a morire». 


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