L’immagine di un cubo di plexiglass attorno a sdraio e ombrellone, per limitare il contagio da coronavirus, ha fatto il giro d’Italia in men che non si dica. Era la proposta di un’azienda privata, accolta tra le polemiche dei futuri aspiranti bagnanti e lo sgomento degli gestori degli stabilimenti balneari: «Una follia. Come quell’altra storia della sanificazione della sabbia: sta girando anche questa, lo sapeva?». A parlare con MeridioNews è Ignazio Ragusa, presidente del Sindacato balneari di Confcommercio Catania e titolare di un lido sul litorale della Playa. La stagione balneare è stata sospesa dalla Regione Siciliana fino a data da destinarsi e i gestori sono stati esonerati dal pagamento del canone di concessione demaniale per il 2020. Ma adesso che si comincia a pensare all’estate, il pensiero va già al da farsi. «Sappiamo che il momento è delicato – dire Ragusa – Quest’anno la nostra intenzione è essere utili, più che fare utili, per dirla con una battuta».
Il tema vero sono le difficoltà economiche delle imprese che lavorano con il mare. «Siamo già gravemente in ritardo – spiega – Aprire gli stabilimenti a giugno sarà difficilissimo, praticamente impossibile se saranno prorogate le misure di contenimento dell’emergenza senza includere anche la nostra categoria tra quelle che possono andare al lavoro». Perché se è vero che ancora è troppo presto per aprire al pubblico, è vero anche «che il lavoro che gli utenti vedono è solo una minima parte di quello che dobbiamo fare annualmente: dopo avere fatto i conti con l’inverno, allungare ulteriormente il periodo di fermo significa anche dovere fare manutenzioni straordinarie molto più pesanti».
Senza contare l’impossibilità di cominciare a montare cabine e passerelle e di attrezzare le strutture per l’accoglienza del pubblico. «È urgente che, quantomeno, ci venga concesso di andare a lavoro per fare il minimo indispensabile, siamo in un limbo e non sappiamo come comportarci. Sappiamo che lasciare l’accesso all’utenza senza controlli sarà impensabile e siamo a disposizione per tutto quello che sarà necessario. Il cuore della Fase 2, del resto, non è questo? Parlano di convivenza con il virus, quindi noi ci impegniamo per fare rispettare tutte le regole che saranno poste. Purché siano possibili, non impensabili come quella storia del plexiglass in ombrellone».
Quindi sì alla distanza, sì alla sanificazione dei bagni tra un utente e l’altro e «qualunque altra cosa il governo voglia immaginare, dopo averne discusso con la categoria. Il rischio, se non si parla con chi fa questo mestiere, è che si adottino misure incompatibili con l’attività. Abbiamo già un’esperienza che mettiamo in campo per rendere sicure le nostre strutture, possiamo aiutare se messi nelle condizioni di farlo». Prima di valutare le condizioni, però, ci sono da capire i tempi. Senza la possibilità di ottenere l’anticipo per l’affitto delle cabine dai clienti, ai problemi precedenti si aggiunge anche quello della liquidità: «E visto che le nostre concessioni demaniali sono in scadenza a dicembre 2020, le banche non ci fanno credito».
Un circolo vizioso al quale si aggiungono le incertezze per il personale: «Chi lavora per noi, non sa se potrà tornare a farlo quest’estate. Anche questo è un problema economico che dobbiamo considerare. Abbiamo sentito anche che, se ci sarà possibile aprire al pubblico, ci saranno regole diverse tra stabilimenti privati e spiagge libere. Questo cosa significa? Che in una spiaggia libera ci si ammala di meno?», attacca Ragusa. «Non possiamo permettere che un settore come il nostro venga trattato con superficialità». Quel che è certo è che ancora le regole per l’estate non sono state fissate. E farlo spetterà al governo nazionale.
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