Tony Zermo e l’Apocalisse

In un articolo intitolato Dopo i fasti in bianco e nero, una città che vuole rinascere’, pubblicato sul quotidiano “La Sicilia” del 5 maggio 2011, Tony Zermo, lo storico-giornalista ed editorialista del quotidiano catanese, ha indossato definitivamente i panni dello storico senza altri attributi. Confermando il ruolo che ha sempre avuto e nessuno potrà mai contestargli: quello di maître à penser e grande educatore della classe dirigente cittadina.

Dopo aver rievocato la Catania “com’era” («Mi piaceva la vecchia Catania – scrive – che era piccola e concentrata dove ci conoscevamo tutti»), dopo aver rimpianto i tempi d’oro della «mitica e dimenticata Milano del Sud», spiega in quattro battute quale fu il sassolino che fece inceppare il prodigioso ingranaggio: «Poi ci fu il tracollo quando furono inquisiti i quattro cavalieri del lavoro Costanzo, Rendo, Graci, Finocchiaro. Rappresentavano il fiore all’occhiello dell’imprenditoria del Sud, capaci di costruire intere città chiavi in mano, e li chiamarono i “cavalieri dell’Apocalisse”. Spariti loro, sparirono anche diecimila posti di lavoro e i grandi appalti finirono tutti al Nord. Un vecchio direttore di banca mi dice che “emigrarono verso le regioni rosse 40 mila miliardi di lavori”. Non siamo nostalgici, raccontiamo fatti. Catania si ritrovò più povera, più sola e più malfamata», scrive.

Ci voleva un Tony Zermo per sintetizzare in maniera così adamantina l’interpretazione dell’ascesa e del declino di Catania. Questo riepilogo, che ha la forza interpretativa di un Edward Gibbon, rimarrà negli annali della storia ufficiale della città nella seconda metà del XX secolo. Con una piccola omissione, dovuta forse a un senso di pudore. Non ha citato per nome Giuseppe Fava, l’inventore del malaugurato appellativo. Ha dimenticato di aggiungere l’aggettivo: li chiamarono “i quattro cavalieri dell’Apocalisse mafiosa”.

 
*Prof. di Storia Contemporanea, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere di Catania


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