Trentadue ex dipendenti della filateria Matesi di Termini Imerese (in provincia di Palermo) esposti all’amianto hanno diritto sia al prepensionamento che alla rivalutazione della pensione. Così ha stabilito la Corte di Appello di Palermo che ha condannato l’Inps a riliquidare le pensioni con l’adeguamento e le maggiorazioni dei benefici contributivi per esposizione ad amianto. Percepiranno anche gli arretrati per dieci anni antecedenti la domanda amministrativa che, […]
Termini Imerese, lavoratori esposti all’amianto per 30 anni in un’industria tessile: «Ora abbiamo avuto giustizia»
Trentadue ex dipendenti della filateria Matesi di Termini Imerese (in provincia di Palermo) esposti all’amianto hanno diritto sia al prepensionamento che alla rivalutazione della pensione. Così ha stabilito la Corte di Appello di Palermo che ha condannato l’Inps a riliquidare le pensioni con l’adeguamento e le maggiorazioni dei benefici contributivi per esposizione ad amianto. Percepiranno anche gli arretrati per dieci anni antecedenti la domanda amministrativa che, tenendo conto della durata del processo, saranno conteggiati per quasi 20 anni.
In primo grado il tribunale di Termini Imerese aveva accolto 21 ricorsi dei 60 lavoratori della Matesi (poi divenuto Filatura di Campofelice). Sono quelli che avevano optato per il prepensionamento dopo il fallimento dell’azienda, depositando la certificazione di esposizione rilasciata dall’Inail e presentando la richiesta di benefici contributivi all’Inps. Quest’ultimo, però, aveva respinto la richiesta appellandosi alla presunta incumulabilità della prestazione previdenziale perché già beneficiari di una pensione, come lavoratori socialmente utili.
Il gruppo, rappresentato da Fedele Incandela, ha avviato un’azione giudiziaria per la tutela dei diritti e, con l’appoggio dell’avvocato Enzio Bonanni – presidente dell‘Osservatorio nazionale amianto – hanno ottenuto dall’Inps il risarcimento contributivo con rivalutazione della pensione, maggiorata di circa 500 euro al mese, oltre alla liquidazione degli arretrati di almeno dieci anni dalla domanda. L’ente di previdenza ha però impugnato la decisione tentando, con un cavillo, di fare annullare la sentenza, e ottenendo invece un’ulteriore condanna della Corte d’Appello.
«Tutti questi lavoratori – commenta Bonnanni – sono stati esposti ad amianto dagli anni Sessanta e, alla chiusura dello stabilimento nel settembre del 1995, sono stati collocati prima in cassa integrazione, poi adibiti ai lavori socialmente utili e poi i pochi sopravvissuti ai numerosi casi di mesotelioma, tumore del polmone e altre malattie asbesto correlate, sono stati collocati in pensione». Soddisfazione è stata espressa anche da Fedele Incardona: «Seppure con i tempi della giustizia italiana, abbiamo avuto giustizia».