Tentata rapina all’Agip, resta grave il 14enne La vicenda tra dubbi, rabbia e solidarietà

Dubbi, rabbia e solidarietà. Sono i sentimenti che si mischiano a quasi una settimana dalla tentata rapina al distributore Agip di San Giorgio, nella notte di martedì 27 gennaio, conclusa con la morte del 18enne Francesco D’Arrigo – e non 21enne come riferito finora – e il ferimento alla testa di un minore di 14 anni. Entrambi ad opera di un poliziotto del servizio scorta fuori dall’orario di lavoro. La rabbia è quella degli abitanti della zona Sud di Catania, dove vivevano i ragazzi – quattro in tutto, due maggiorenni e due minorenni – che hanno tentato il colpo. La solidarietà ai poliziotti coinvolti viene invece dalla polizia e da alcuni cittadini. I dubbi invece restano su quanto successo quella notte: sull’uso legittimo o meno delle armi da parte degli agenti e sull’opportunità di affidare le successive indagini alla Squadra mobile di Catania, ai colleghi dei poliziotti presenti alla tentata rapina. Intanto restano gravi ma migliorano le condizioni di salute del 14enne, trasferito dal reparto di terapia intensiva a quello di neurochirurgia del Policlinico, dove ha iniziato a respirare senza l’aiuto delle macchine. Mentre il corpo di D’Arrigo non è ancora stato sottoposto all’autopsia.

«La nostra inchiesta procederà accuratamente, ma lo diciamo con chiarezza: consideriamo la polizia come parte offesa», diceva già a poche ore dal fatto il procuratore capo di Catania Giovanni Salvi. Eppure questa certezza si è scontrata fin dai primi momenti con gli scarsi dettagli forniti dagli agenti su quanto successo al distributore Agip e soprattutto con i racconti dei testimoni. L’indagine, com’è ovvio, è blindata. Il filmato delle telecamere di sorveglianza del distributore è in possesso della Squadra mobile che svolge le indagini e che, a differenza di quanto accade in altri fatti di cronaca, al momento non le ha ancora diffuse. Non si conoscono poi i risultati delle analisi sulle pistole finte utilizzate dai ragazzi, per sapere se fossero state modificate per sparare oppure no. Eppure qualche dettaglio sulla dinamica trapela. 

L’inizio della storia è abbastanza chiaro: in tre entrano all’interno della tabaccheria mentre uno – D. T., il minorenne fermato una settimana dopo – li aspetta fuori. Qualcuno punta le armi contro i presenti ma un poliziotto fuori servizio, entrato per comprare le sigarette, riesce a bloccare e arrestare il 21enne Samuele Consoli, che avrebbe dovuto trovarsi a casa, agli arresti domiciliari. Gli altri due ragazzi scappano fuori, sembra con le armi in pugno, e si imbattono nell’altro agente che aspetta il collega. È a questo punto che le informazioni si fanno lacunose. Non sappiamo cosa sia successo a Francesco D’Arrigo, morto poco dopo l’arrivo all’ospedale Vittorio Emanuele per dissanguamento: uno dei colpi ricevuti – sembra almeno due – gli ha reciso l’arteria femorale. Questo dettaglio, insieme alla testimonianza dei familiari che hanno visto il corpo, farebbe credere che il ragazzo si trovasse di spalle quando è stato raggiunto dai proiettili.

Intanto i due minorenni della banda cercano di scappare con l’auto, una Opel Corsa, a bordo della quale sono arrivati. Prima di entrare in macchina, sembra che uno dei due abbia puntato la pistola contro il poliziotto. Che spara di rimando. Sulla macchina sarebbero stati trovati tre colpi di pistola e molto sangue sul volante. Forse è uno di questi a colpire alla testa il minore. L’auto viene poi ritrovata nei pressi del viale Moncada: dove il complice scappa e il giovane ferito viene soccorso dai vicini. Il proiettile, secondo fonti mediche, sarebbe entrato dalla tempia destra e si sarebbe fermato sopra l’occhio sinistro. Poi estratto durante una delicata operazione neurochirurgica, ha comportato però un’emorrargia cerebrare che i medici hanno subito drenato, ma che non ha escluso altre complicazioni ancora non del tutto superate.


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