Si profila la cassa integrazione per i dipendenti della Tecnis che, da Palermo a Catania, sono rimasti loro malgrado coinvolti nella bufera giudiziaria che ha travolto i vertici del colosso etneo, che vanta commesse per quasi un miliardo di euro su tutto il territorio nazionale. L’ipotesi, emersa stamattina durante gli stati generali della Uil Sicilia presso l’Orto Botanico di Palermo, non è valida ovviamente soltanto per la settantina di operai dell’anello ferroviario del capoluogo o per i circa 300 della metropolitana di Catania, ma va concordata su larga scala.
Per il segretario generale Claudio Barone una soluzione per salvare capra e cavoli potrebbe essere il ricorso alla legge Prodi sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. «Dobbiamo capire quali sono le prospettive – dice -, qual è lo strumento di legge per gestire una situazione che riguarda non solo i lavoratori ma un gruppo che a livello nazionale è la quarta azienda del Mezzogiorno». Con la legge Prodi «anziché procedere con una gestione fallimentare, con tutto quello che comporta, potrebbe prendere avvio la gestione di un soggetto pubblico. Altrimenti, se si avvia la procedura di liquidazione, i tempi per riaffidare l’appalto sono difficili da prevedere».
Un modo, insomma, secondo Barone, «per garantire la continuità dell’attività produttiva ed evitare di perdere queste commesse. Non si può correre il rischio che le opere restino bloccate – conclude – o che addirittura si spendano soldi per ricoprire gli scavi. È una cosa che grida vendetta a Dio». Resta in piedi per il momento la possibilità che Rfi anticipi una parte degli stipendi arretrati (i dipendenti aspettano ancora metà settembre e le mensilità di ottobre, gennaio e febbraio) ma è difficile immaginare che possa farlo per tutti i cantieri della Penisola.
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