Tar rimette in corsa progetto per biogas nella Valle del Mela «Per avere autorizzazione non serve impianto sia pianificato»

«È un’ottima notizia per chi vuole davvero affrontare e risolvere il problema dei rifiuti in Sicilia». L’entusiamo arriva dal presidente di Legambiente Sicilia, Gianfranco Zanna, e nasce dalla sentenza con cui la prima sezione del Tar di Palermo ha annullato le decisioni prese dalla Regione, sulla scorta del parere negativo dato dalla commissione tecnico-specialistica, in merito alla possibilità di realizzare a San Filippo del Mela (Messina) un impianto per il trattamento della frazione organica dei rifiuti urbani con annessa produzione di biometano. A presentare il progetto, giudicato dalla Cts sovradimensionato e non rispettoso della normativa in vigore, era stata A2A Energiefuture, colosso dell’energia che punta a sfruttare l’ex centrale termoelettrica nel centro della valle del Mela. Il tribunale amministrativo, che a ottobre scorso non aveva accolto la richiesta di sospensiva, ha dato ragione all’impresa dando un colpo di spugna al no dell’assessorato al Territorio e Ambiente, adesso chiamato a valutare il ricorso al Consiglio di giustizia amministrativa.

A ridosso del parere negativo, a polemizzare con l’organismo presieduto dal professore Aurelio Angelini era stata proprio Legambiente, sostenendo che la decisione non avrebbe fatto altro che prestare il fianco agli interessi dei padroni delle discariche. «Solo così chiuderemo le discariche e impediremo la realizzazione degli inceneritori», ha commentato Zanna poco dopo la notizia del pronunciamento del Tar. Il riferimento è alla politica ambientale sostenuta da Legambiente, aperta a tecnologie capaci di ricavare energia dal trattamento dei rifiuti organici ma senza passare dai termovalorizzatori. A volere questi ultimi, che per loro natura si cibano di indifferenziata, è il governo Musumeci che ha indetto una manifestazione d’interesse individuando proprio in A2A uno dei proponenti – l’altro è Asja Ambiente – delle soluzioni tecniche da cui partire per un partenariato pubblico-privato. Le due società sono anche tra i principali partner commerciali di buona parte delle iniziative promosse da Legambiente; una situazione che ha attirato all’associazione l’accusa – rimandata al mittente – di favorire operazioni di greenwashing. «La mancanza di impianti per il trattamento della Forsu (frazione organica del rifiuto solido urbano, ndr) e del riciclo in generale in tutto il territorio siciliano – dichiara Tommaso Castronovo, responsabile Rifiuti ed Economia circolare dell’associazione – è un dato di fatto che insieme ai sindaci denunciamo da diversi anni. Eppure, i progetti pubblici e privati in fase autorizzativa non mancano, ma i tempi della loro istruttoria, quando non si concludono con pareri negativi come nel caso dell’impianto di San Filippo del Mela, sono inadeguati anche rispetto all’impegno di centinaia di Comuni e milioni di cittadini siciliani nell’aumentare la raccolta differenziata».

Al centro del progetto di A2A c’è la realizzazione, in un’area di circa cinque ettari, di un sito capace di accogliere 75mila tonnellate ogni anno di frazione organica. Il quantitativo era stato ritenuto eccessivo dalla Cts. La commissione aveva giudicato la proposta sovradimensionata, nella considerazione che la normativa in vigore – la legge regionale 9 del 2010 – per quanto spesso disattesa prevede che gli impianti siano tarati sul fabbisogno dell’ambito in cui insistono. Ovvero l’area di competenza della Srr di riferimento, che in questo caso sarebbe la Srr Messina Provincia. La stessa legge prevede la possibilità di realizzare impianti che servano aree più vaste, ma previo accordo tra le Srr. Fatto questo che non era accaduto per il caso A2A. La società, dal canto suo, nella documentazione presentata all’assessorato aveva dichiarato di avere progettato l’impianto tenendo conto del fabbisogno dell’intera provincia di Messina «estendendo – viene ricordato nella sentenza – eventualmente il bacino di utenza alle province di Catania, Enna e Palermo».

Alla base del parere negativo della Regione c’erano state altre due contestazioni: la prima riguardava la titolarità del flusso dei rifiuti che per la Cre non era dell’impresa ma dei Comuni produttori, ritenendo la frazione organica facente parte di quei rifiuti urbani la cui gestione soggiace al regime di privativa; la seconda, invece, la mancata inclusione dell’impianto di A2A nella pianificazione della Srr. Al piano d’ambito la legge regionale affida il compito di occuparsi degli «impianti che si prevedono di utilizzare a integrazione di quelli già esistenti». A confermare che il progetto del colosso privato non rientrava tra i programmi era stata la stessa Srr che, a marzo 2020, aveva inviato una nota alla Regione, sottolineando di avere in cantiere due progetti per realizzare altrettanti impianti pubblici per il trattamento dell’organico a Monforte San Giorgio e a Mili. Successivamente, però, l’ente si era sfilato dalla questione relativa alla valutazione ambientale affermando che «la mancata previsione di tale impianto nella pianificazione d’ambito non osta al rilascio dell’autorizzazione». L’assunto – lo si scopre dalla sentenza – era stato ribadito anche dalla Regione, che aveva chiarito – scrivono i giudici – «che né il nulla osta della Srr né la titolarità dei rifiuti sono precondizioni per l’ottenimento delle autorizzazioni».

Di avviso diverso, però, era stata la Cts che alla fine dell’esame della documentazione si era espressa negativamente. I giudici amministrativi hanno invece dato ragione all’impresa. «La circostanza che l’impianto privato non sia previsto nella pianificazione d’ambito non rappresenta di per sé un fattore ostativo rispetto alla stessa pianificazione, e compete alla Srr la valutazione in ordine alla possibile interferenza del nuovo impianto con l’impiantistica pubblica eventualmente già in funzione, nell’ottica dell’autosufficienza di tale impiantistica; circostanza che, nel caso in esame, non risulta». Riguardo invece alla mancata titolarità del flusso dei rifiuti, il tribunale amministrativo ha ritenuto che, trattandosi di frazione organica, non entra in gioco l’articolo 182 del codice dell’Ambiente, quello che tiene conto dei «principi di autosufficienza e prossimità», ma l’articolo 181 secondo cui «per le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio e al recupero è sempre ammessa la libera circolazione sul territorio
nazionale
tramite enti o imprese iscritti nelle apposite categorie dell’Albo nazionale gestori ambientali».

Nell’esame del ricorso di A2A, i giudici hanno anche fatto riferimento al piano regionale di gestione dei rifiuti, esitato dalla giunta Musumeci poco prima che all’allora assessore Alberto Pierobon venisse dato il benservito. «I titolari di impianti privati, pur destinatari delle autorizzazioni, non possono vantare l’automatica conferibilità presso i loro impianti dei rifiuti da parte dei Comuni o dalle Autorità d’ambito, dal momento che la conferibilità dei rifiuti va formalmente disposta dai produttori, intesi quali titolari della loro gestione. In mancanza, i soggetti privati devono assumersi i relativi rischi imprenditoriali». Sarebbe dunque questa, secondo il Tar, la situazione di A2A: legittimata a ottenere l’autorizzazione, ma senza la garanzia – a meno di non ottenere il nulla osta della Srr – di ricevere i rifiuti. «L’ottenimento del titolo autorizzatorio non implica l’insorgenza di alcun obbligo di conferimento», si legge nella sentenza. 


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