Si è chiuso con tre condanne il processo d’Appello per la violenza sessuale di gruppo a una 19enne statunitense avvenuta la notte tra il 15 e il 16 marzo del 2019 nella zona del porticciolo Porto Rossi, in piazza Europa a Catania. Quattro anni e due mesi per Roberto Mirabella e Salvatore Castrogiovanni; due mesi in più per Agatino Valentino Spampinato responsabile anche della seconda violenza, avvenuta nell’androne della palazzina dove la vittima era ospite come ragazza alla pari. Condanne ridotte rispetto a quelle che i tre, poco più che ventenni, avevano ricevuto alla fine del processo di primo grado: rispettivamente di sette anni e due mesi e sette anni e quattro mesi.
Una riduzione per cui era stata la stessa procura generale a fare richiesta dopo che, nel corso di un’udienza, i tre imputati – che si trovano agli arresti domiciliari e ai quali sono state concesse le attenuanti generiche – avevano rinunciato al motivo sull’assoluzione. «Si è trattato di una scelta strategica difensiva», aveva spiegato a MeridioNews l’avvocata della difesa Monica Catalano. A chiedere invece che fosse confermata la della sentenza della condanna di primo grado era stata la legale Mirella Viscuso che assiste la vittima che, subito dopo i fatti, era tornata a vivere negli Stati Uniti. Oggi 22enne, in passato aveva già subito altre violenze ma quella notte di tre anni fa l’ha descritta come la peggiore di tutta la sua vita. Nel corso delle dichiarazioni spontanee davanti alla corte, i tre giovani avevano dichiarato di non essere «dei ragazzi violenti e nemmeno degli stupratori». Insomma, avrebbero chiesto scusa ma senza ammettere le proprie responsabilità.
Tra gli elementi di prova finiti a processo c’è un video girato in auto in cui si vede la giovane e si sente pronunciare in italiano la frase «non voglio» mentre cerca di spingere con la mano il ragazzo sopra di lei. Per il collegio difensivo, però, il rapporto sarebbe «nato con consenso». Consenso che invece che non ci sarebbe stato per filmare la scena. Per gli imputati la ragazza non si sarebbe opposta ma avrebbe agito in modo strumentale per avere una prova da usare in un momento successivo. Così, sono state interpretate dai difensori anche le undici chiamate al 112 e al 911 (il numero unico per le emergenze negli Usa) e i messaggi inviati alle uniche due persone conosciute a Catania dove la ragazza stava da circa un mese.
Nelle motivazioni della condanna di primo grado, il giudice aveva sottolineato un atteggiamento tutt’altro che consenziente della vittima «tirata per i capelli che emette gemiti, incomprensibilmente interpretati dalla difesa come “di piacere” ma all’evidenza di sofferenza soffocata dalla condizione nella quale si trovava: braccata dal branco dentro l’abitacolo dell’auto, incapace di opporre resistenza alle azioni estremamente invasive della propria sfera sessuale che stava subendo». Tutto questo mentre i tre ragazzi erano intenti a «ridere e godere della sopraffazione sessuale completamente indifferenti alle reazioni, allo stato d’animo e al volere della vittima trattata senza alcun rispetto dai tre preoccupati soltanto di non sporcare la macchina con il liquido seminale e di immortalare la scena».
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