Studi internazionali: non è mai troppo presto

Come tanti, sono uno di quei “giovani che”, come ha scritto Olga Tribulato nell’articolo Nostoi: andata e ritorno per l’Isola, “se ne sono andati non perché sono in carriera o cinici, ma perché altrove, in Sicilia, non trovavano nulla”. Come pochi, invece, non avevo neanche diciassette anni quando, pieno di ambizioni e nostalgie, intrapresi il viaggio.

Voglio raccontarvi una storia, la mia, per aggiungerla alle tante testimonianze di siciliani lontani dall’isola. Voglio raccontarvi cosa mai mi sia passato nella testa a sedici anni per convincermi ad andare via da casa per completare le superiori in una scuola speciale di cui mai avevo sentito parlare, il Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico. Voglio raccontarvi di quel posto, di come sia riuscito ad andarci, e di cosa abbia imparato lì, non strettamente attraverso lo studio, ma in termini di risate e tristezza, amicizie e notti insonni, addii ed esperienze di vita.

Voglio raccontarvi tutto questo per mostrarvi un’esperienza fuori dall’isola un po’ diversa, c’è chi dice precoce, c’è chi dice unica e da fare. A voi la scelta.  

La mia Macondo

La Sicilia in cui sono cresciuto è sempre stata per me trasposizione reale di quella magica cittadina dove il grande scrittore Gabriel Garcìa Màrquez ambientò alcuni suoi romanzi – tra cui il celeberrimo Cent’anni di Solitudine -, Macondo.

Come Macondo, il paese-Sicilia è circondato da una terra quasi ingenua, preistorica. Il sole stana ogni nostra collina e la ingiallisce, cuoce la nostra sabbia e i nostri scogli donandoci uno spettacolo naturale ipnotizzante e maestoso, che tutto il mondo ci invidia. Come gli abitanti di Macondo, i siciliani sembrano traboccare di vita, se confrontati ad altre genti. Quando ridiamo, scherziamo, lo facciamo di gusto, tanto che all’estero si sta sviluppando l’idea del siciliano che mai smette d’esser contento della vita (ho addirittura scommesso con un mio caro amico che in un paio d’anni sorpasserà lo stereotipo da film Il Padrino!).  

Con Macondo, però, dividiamo soprattutto i lati più oscuri. La magica città per gran parte della sua esistenza è isolata dal mondo; solo echi di lontane battaglie e qualche storia straordinaria perforano le mura e arrivano alle orecchie dei Macondiani. E vedevo così casa mia: una gran bolla dove la stasi e il disinteresse primeggiava, dove anche il solo tentativo di iniziare un qualcosa di nuovo, di provare interesse per un qualcosa di diverso era scoraggiato, annichilito.

Amavo la mia Macondo, ma amavo ancor di più l’idea di uscire dalla sua bolla, crescere respirando “l’aria del mondo”, e capire se questo mio senso di soffocamento fosse semplice crisi adolescenziale, o sintomo di un malessere ben più grande che colpiva l’isola mia.

Per questi motivi, principalmente, a sedici anni presi la decisione di far domanda per delle strane scuole di cui non avevo mai sentito parlare e di cui scoprii il bando di selezione per caso su La Repubblica: i Collegi del Mondo Unito.  

I Collegi e le selezioni

“I Collegi del Mondo Unito fanno dell’istruzione una forza per unire i popoli, le nazioni e le culture perseguendo la pace e un futuro sostenibile”, questa è la missione. Ce ne sono dodici in tutto il mondo, (di cui uno, il Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico, a Duino, in provincia di Trieste), e ogni anno più o meno 25 studenti italiani hanno l’opportunità di studiarci grazie all’assegnazione di borse di studio che coprono vitto, alloggio e spese scolastiche.

Il programma di studio che si intraprende è (attenti, nome complicato!) il Baccellierato Internazionale, interamente in lingua inglese. Questo sostituisce gli ultimi due anni di scuola superiore, ed ha come scopo non solo quello di preparare adeguatamente lo studente all’università, ma anche tentare di formarlo dal punto di vista sociale. Chi frequenta i Collegi, infatti, è tenuto a partecipare ad almeno un’attività sportiva, un’attività creativa, e un servizio di volontariato.  

Le borse di studio sono assegnate attraverso un processo di selezione diviso in due fasi: una regionale e una nazionale (quest’ultima al Collegio dell’Adriatico).

Ricordo ancora il battito del mio cuore quando entrai una mattina alle nove in punto all’Hotel Mediterraneo a Catania, per le selezioni siciliane. Ma ricordo ancor meglio i battiti e gran parte dell’ansia calare grazie all’atmosfera piuttosto informale creata dai selezionatori, quasi tutti ex-studenti dei Collegi.

Di lì a poco si fece evidente che ciò che contava non era il livello di conoscenza della lingua inglese, né la media scolastica, né che si avesse la tessera della sezione giovanile di qualche partito: la personalità, la capacità critica, saper esporre le proprie opinioni agli altri, ascoltare le loro e, soprattutto, la maturità per lasciare casa, amici e abitudini così presto erano le cose da cercare. Questa certezza, e i momenti passati alle selezioni nazionali, mi fecero capire che i Collegi non erano scuole d’eccellenza per gente precoce, ma qualcosa di diverso, più alla mano, e forse per questo migliore.  

La vita al Collegio

Ero un po’ assopito per il pranzo e il caldo quando, un pomeriggio di giugno 2006, seppi con mia grande incredulità di aver ricevuto una borsa di studio per il Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico, quello per cui avevo esposto preferenza (Trieste, ai miei occhi, era già estero).  

Che mi hanno dato quei due anni? Cos’ho imparato? Ne è valsa la pena salutare casa così presto?

Ognuno vive i Collegi in modo diverso, e spesso ricava lezioni, esperienze differenti. A me, ha donato all’inizio momenti difficili, per poi trasformarli nelle esperienze più belle che abbiano scolpito la mia vita fino ad ora.  

Duino, buffo a dirsi, mi ha insegnato l’inglese. Al Collegio ho vissuto giorno per giorno accanto ad altri miei coetanei da oltre 80 Nazioni diverse, con cui l’inglese era l’unico mezzo di comunicazione. Dal semplice “What’s your name?” con l’accento siciliano dei miei ex-professori di lingue mi sono ritrovato a tentare disperatamente di capire frasi a raffica dall’accento americano, britannico, scozzese, indiano, balcanico, canadese, sud americano… Cosa che mi ha richiesto un paio di mesi e tanto, tanto, tanto sudore (fortunatamente, l’apprendimento di una lingua è molto più rapido se si è immersi completamente in un’ambiente che lo parla).  

Al Collegio, poi, ho dovuto sacrificare la potenziale conoscenza enciclopedica (!) data dalle scuole italiane per una più specifica, ma molto più critica. Il sistema di studio, infatti, prevede la scelta di sei materie soltanto, che però sono insegnate a livello para-universitario. Là, per esempio, ho imparato ad apprezzare la storia non come un insieme di capitoli da ripetere in un’interrogazione ma come una disciplina che tenta di individuare le cause e i meccanismi attorno ad avvenimenti passati, attraverso attente verifiche di documenti storici; o matematica non come un pugno di formule astratte che avrei scordato dopo l’odioso compito, ma come un insieme di metodi che hanno davvero utilità in svariati campi del sapere umano.  

Cosa ancora più importante, i due anni al Collegio mi hanno dato quell’ “aria del mondo” che tanto agognavo dentro la mia Macondo. Vivendo tra Palestinesi e Israeliani, Argentini e Senegalesi, ho imparato che esistono innumerevoli punti di vista, innumerevoli modi di vedere un problema, una situazione, anche un gesto. Questo non mi ha fatto perdere in una sorta di relativismo culturale, dove tutti hanno ragione, ma mi ha aiutato a formare attente opinioni e idee, con la piena consapevolezza che c’è sempre qualcuno che può non essere d’accordo, dato il contesto completamente diverso dal mio in cui si è formato.  

Inoltre, le attività extra-curriculari (che sono, dopotutto, il vero nucleo dei Collegi) mi hanno dato la possibilità di dare pieno sfogo allo spirito d’iniziativa e l’immaginazione che reprimevo a casa. Assieme ad altri ragazzi, ho organizzato iniziative come conferenze, settimane creative a tema, un corso di karate; ho scritto articoli per giornali, ho trascorso come volontario – ed amico – due anni ad aiutare e stare vicino ad una ragazza disabile. Vivere in un contesto del genere mi ha reso “conscio del mondo”, empatico nei confronti di cose che accadono a migliaia di chilometri di distanza, e mi ha incitato a vedermi non come individuo DI una società, ma IN una società in cui, se voglio, posso avere un ruolo benefico e attivo.

Infine, questa esperienza ha profondamente cambiato il rapporto tra me e la Sicilia. Ho imparato a vederla non come posto da amare e da cui andarsene per un po’, ma un posto da amare e da cambiare. Mi sono accorto pian piano che il senso di soffocamento appartiene a molti, non solo a me, tanto da farmi apparire evidente che, nella mia Macondo (soprannome che potrei ben dare, credo, all’Italia intera), qualcosa proprio non va.

Il bisogno di trovare gli strumenti per tornare in Sicilia come individuo NELLA società, la voglia di  contribuire, come già fanno in tanti, affinchè questa non soffochi i suoi giovani per poi lasciarli scappare mi ha spinto, dopo il Collegio, ad andare a studiare Londra.

E qua, da un anno, un’altra storia è cominciata.  

Link:

www.uwc.org        Sito internazionale del movimento United World College, in inglese 
www.it.uwc.org     Sito della Commissione Italiana per i Collegi del Mondo Unito, in italiano 
www.uwcad.it        Sito del Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico, in italiano e inglese 

[il video in apertura è tratto da Youtube. L’autore è Juan Pablo di Pace]


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