Franco Abruzzo, autorevole studioso del giornalismo, smorza lentusiasmo dei giovani che proprio in questi giorni cercano di accedere alle scuole specializzate. «Oggi il mercato non può assorbirli». Ma tra qualche anno le cose potrebbero cambiare
Stretta è la soglia, lunga è la via
Ci vuole coraggio a voler fare i giornalisti di questi tempi. Ma ce ne vuole ancora di più a dire la verità a chi oggi ha vent’anni e sente bruciare dentro il sacro fuoco della professione.
Dire, per esempio, che frequentare le scuole specializzate spesso non aiuta più di tanto, che i giornalisti italiani disoccupati in ambito nazionale sono all’incirca duemila, mentre l’esercito dei cosiddetti free lance – oggi più per forza che per scelta- conta quasi venticinquemila unità.
Tra questi, pochissimi sono quelli che guadagnano vendendo i loro servizi a testate serie, visibili e, soprattutto, paganti. Difficile dirlo a quei ragazzi pronti ad andare via da casa, e sborsare tredici mila euro in due anni per frequentare le scuole autorizzate dall’Ordine.
Come se non bastasse, la crisi dei media nel prossimo biennio dovrebbe comportare l’uscita di 2.500 professionisti dalle redazioni.
C’è pure chi, dall’alto dei suoi settant’anni appena compiuti, chiede all’Ordine dei giornalisti e al sindacato nazionale, di fare la sua parte e di raccontare l’altra verità che brucia. E cioè che almeno per i prossimi anni non esistono possibilità di lavoro vero e che le diciotto scuole di giornalismo italiane non sarebbero più foriere di opportunità. Basta guardare all’IFG di Milano: il 20% degli allievi non ha un posto fisso.
Franco Abruzzo, giornalista, ex presidente dell’Ordine della Lombardia, infaticabile studioso della professione ha detto la sua, non senza attirarsi polemiche, e ha lanciato alcune domande scomode dal suo sito e dalla relativa newsletter che raggiunge quasi ogni giorno migliaia di colleghi italiani iscritti.
Perché continuare a sfornare giornalisti dalle scuole e dalle università?, chiede Abruzzo. Perché omettere l’inesistenza di prospettive fuori da Roma e da Milano, dove comunque è sempre più difficile farsi assumere?
Ciccio Abruzzo è un fiume in piena.
“E’ sin troppo evidente come diciotto master universitari qui in Italia siano troppi – spiega – Dovrebbero rimanere in vita i tre di Roma e i tre di Milano, città in cui esiste ancora un modesto mercato. Ma nelle altre regioni non c’è alcuna prospettiva di occupazione. L’Ordine nazionale non ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e di “tagliare”. Anche la Fnsi tace. Bisogna trovare la determinazione morale di dire ai giovani aspiranti giornalisti che almeno per i prossimi cinque anni non esistono speranze di lavoro. E ve lo dice uno come me, uno che ha sempre difeso i master e li difende ancora. Uno che crede nell’accesso universitario al giornalismo”.
Settembre è il mese delle prove di accesso alle scuole per futuri giornalisti. Che cosa si dovrebbe dire a chi tenterà di sfondare il tetto del numero chiuso?
“Spiegavo ad un giovane di Teramo (l’Università di Teramo promuove un master di giornalismo ndr) che all’uscita di 2500 giornalisti dal mercato del lavoro nei prossimi due anni non corrisponderà un analogo ricambio. Non ci sarà il turn over. I giornali hanno un grande problema: la pubblicità che diminuisce e la minore diffusione delle copie. Gli organici devono essere adeguati e si ritornerà ai numeri di cinque o sei anni fa. Gli iscritti all’Inpgi 1 (la sezione dell’istituto pensionistico che registra gli assunti ndr) sono ventimila, ma solo 17.500 risultano occupati, e poi c’è un esercito di ben 27 mila free lance. Sa cosa mi ha detto una giovane collega qualche giorno fa? Ho seguito il suo consiglio, Abruzzo, ora sono una persona libera…”.
In che senso?
“E’ una laureata in legge. Le avevo consigliato di cercarsi un’altra strada, di sfruttare la sua laurea. Oggi non dipende da nessuno, lavora, anche se vorrebbe fare la giornalista. Consiglio a tutti questi giovani di fare tutti i concorsi pubblici. O di sfruttare il tesserino per eventuali uffici stampa, ad esempio. E’ perfettamente inutile accumulare tante piccole collaborazioni. In Veneto, in Lombardia, una cartella viene pagata ancora tre euro. Che conto si tiene del lavoro svolto? Della benzina, dello stress, del tempo perduto, della professionalità, dei rischi? La verità è che il mercato è chiuso, e lo rimarrà, almeno per i prossimi cinque anni”.
Ma i bandi per l’accesso alle scuole continuano ad essere pubblicati.
“Ripeto: devono dire la verità ai giovani: il mercato è durissimo. Poi uno è libero di decidere e dire a se stesso: io mi gioco questa carta”.
E allora l’accesso alla professione tramite le redazioni, alla vecchia maniera, sarebbe ancora più svantaggioso…
“Certo, la vecchia via è ancora più dura. Noi ragazzi di Cosenza si camminava sui marciapiedi, si faceva il lavoro così… Ad un certo punto, era il ’62, ce ne siamo andati. A noi calabresi, così come ai siciliani, emigrare non costa molto. Si lascia la tribù, ma ci siamo abituati. Mio nonno Salvatore è andato negli USA due volte. Ma la nostra era una stagione felice, stava ripartendo tutto. Feci i miei cinque anni di lavoro abusivo, da biondino, e non c’era ragione di dubitare che prima o poi sarebbe arrivato il mio turno”.
Diciamoci la verità: non è facile distruggere i sogni. Fare un altro lavoro, ha detto… ma nel frattempo si perdono i contatti, il giro delle fonti…
“Credo che oggi i precari non debbano pesare sulle spalle delle loro famiglie. Ma questo non significa perdere di vista l’obiettivo. Se uno ci crede davvero, continuerà a cercare notizie, a rompere i coglioni, a scrivere. Anche se farà un altro lavoro, aspetterà che la crisi passi. Continuate a scovare le notizie nella gazzetta ufficiale, negli albi dei tribunali, e ora anche su Internet, grande opportunità. Mai arrendersi, figuriamoci”.
Cosa succederà tra cinque anni?
“Io prevedo che il mercato ricominci a camminare. Si avvierà un nuovo percorso virtuoso e via. Lentamente i bisogni si ricreeranno. Sia chiaro: faccio questo lavoro dal ’63 e ne sono ancora molto, molto innamorato”.