Non sarebbero dovuti scendere all’interno della stazione di sollevamento i cinque operai morti ieri a Casteldaccia (nel Palermitano) durante la manutenzione della rete fognaria. Il contratto stipulato per l’appalto dei lavori con Amap, la municipalizzata che aveva dato alla loro ditta – la Quadrifoglio group – avrebbe previsto che l’aspirazione dei liquami avvenisse dalla superficie attraverso un autospurgo e che il personale non scendesse sottoterra. Questo sarebbe emerso, al momento, dalle indagini che gli inquirenti stanno portando avanti per ricostruire le cause e le eventuali responsabilità sulla strage di Casteldaccia. Intanto la procura di Termini Imerese, guidata da Ambrogio Cartosio, ha aperto un’inchiesta contro ignoti e indaga per omicidio colposo plurimo.
Questo spiegherebbe perché nessuna delle vittime indossava la mascherina o altri dispositivi di sicurezza previsti in caso di interventi di manutenzione di questo tipo né aveva il gas alert, un apparecchio che misura la concentrazione dell’idrogeno solforato, il gas che poi li ha uccisi. Non è ancora chiaro, dunque, perché i cinque operai siano scesi all’interno della stazione di sollevamento né cosa sia accaduto. Uno dei superstiti, il 44enne Giovanni D’Aleo ha raccontato di avere lavorato dalle 8 fino alle 10 all’interno della vasca dell’impianto di via Nazionale. «Fino a quel momento, tutto è filato liscio – ha detto l’uomo sopravvissuto a uno dei soccorritori – Poi mi ha dato il cambio mio cugino Giuseppe Miraglia (una delle vittime della strage, ndr). A quel punto è successo qualcosa di imprevisto».
L’ipotesi che si sia rotto un tubo da cui poi è fuoriuscito il gas è stata smentita dai vigili del fuoco. Così come quella di un cedimento strutturale. Non è ancora escluso, invece, che gli operai avrebbero potuto aprire una paratia che sarebbe dovuta rimanere chiusa. L’ambiente infatti, in condizioni normali, è a tenuta stagna.
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