Avrebbero ricevuto solo qualche acconto in corrispondenza delle prime. «Un modo per non farci manifestare», lo definiscono i dipendenti del teatro, da mesi senza un compenso. E chiedono le dimissioni del direttore Giuseppe Dipasquale, che in tempi di ristrettezze economiche ha portato una sua recita a Mosca
Stabile, lavoratori protestano durante lo spettacolo «Senza stipendio da febbraio, non paghiamo i mutui»
Denunciano una gestione paternalistica del Teatro Stabile oltre che la presenza di una manager troppo attaccata al proprio posto. I lavoratori dello storico teatro catanese hanno scioperato ieri di fronte alla struttura di via Umberto, in coincidenza con una delle prime previste in cartellone. Non chiedono solo di ricevere i loro stipendi, ma anche una svolta per l’ente teatrale etneo, da far passare attraverso un piano di rientro economico. «Adesso basta», scrivono i manifestanti sugli striscioni allacciati proprio all’ingresso della sala Musco.
Scioperano dipendenti, maschere, macchinisti che non ricevono lo stipendio da gennaio. L’eccezione è fatta per l’arrivo di alcune somme erogate in acconto, che, denunciano ancora i manifestanti, «ci vengono date guarda caso il giorno prima delle prime. Questo sarebbe un modo per non farci protestare ma oggi siamo qui e abbiamo deciso di scioperare proprio durante una prima, perché tutti vedano cosa succede veramente».
«Noi da parecchio tempo non percepiamo gli stipendi – spiega Gaetano, responsabile botteghino e sale, impiegato allo Stabile dal 1974 – L’ultimo stipendio risale a un acconto di febbraio, senza quattordicesima. Questa situazione va avanti da diversi anni. Semplicemente abbiamo chiesto di fare un piano di rientro per il teatro in modo da dargli un certo equilibrio economico. Questo non avviene. Abbiamo chiesto da sempre i bilanci, ma i bilanci non ci vengono dati. Potrebbero anche non mostrarceli, ma se noi vediamo il malessere del teatro, che ci sono debiti, decreti ingiuntivi che arrivano, sfratti, il dirottamento dei soldi che provengono dal Fus (fondo unico spettacolo) utilizzati per pagare l’Enpam, allora capiamo che qualcosa non va e che così non si può continuare». I lavoratori ammettono che parte di questa situazione si trascina da tempo. «La crisi è cominciata quando c’era direttore Orazio Torrisi, ma era una cosa da poco, che poteva rientrare. Da quando è direttore Giuseppe Dipasquale, invece, siamo in una condizione in cui veniamo a lavoro a spese nostre. Io oggi ho fatto 150 chilometri per venire qui, altri ragazzi non possono pagare il mutuo della casa».
I manifestanti chiedono sostegno alle istituzioni che avrebbero il compito di finanziare l’attività del teatro. «Sia la Regione che la Provincia dicono sempre che la cultura va tutelata, ma a parole e non investono sulla cultura. Il sindaco di Catania, che ha il compito di esprimere il presidente, vuole o no che il Teatro Stabile rinasca?». Secondo quando fatto sapere dai manifestanti il teatro riceve una somma esigua dal Comune, una somma considerata da alcuni insufficiente. Altri invece si sono detti consapevoli che una somma così bassa sia dovuta alle «casse comunali prosciugate».
Ad essere messa in evidenza è stata anche l’assenza di alcune sigle sindacali nella protesta contro la situazione che interessa lo Stabile. «Io ho rispetto per tutte le sigle sindacali – dichiara un altro impiegato – ma qui siamo solo Ugl e Cisl. La Cgil e la Uil non so perché non si muovono. Difendono sempre la direzione e questo non ci convince». «Siamo stati definiti il partito dell’anti Stabile – fa sapere un altro scioperante – come se noi lottassimo contro il teatro».
Nei giorni passati i lavoratori del Teatro Stabile hanno chiesto le dimissioni del direttore Giuseppe Dipasquale. Il timore è che si nascondano i debiti e che nel frattempo la direzione dia il via libera e spese non sostenibili come quella che – a detta dei manifestanti – è stata la partecipazione al festival del centro Na Strastnom di Mosca. Il Teatro Stabile ha partecipato alla manifestazione moscovita portando al debutto Il giardino dei ciliegi, per la regia dello stesso Dipasquale. «I debiti alla fine non si possono nascondere perché nel momento in cui arrivano le ingiunzioni, la Siae da pagare, le fatture delle compagnie, gli attori, gli affitti, tutti non saldati, si capisce che ci sono. Ma in Russia però sono voluti andare comunque. A noi fa piacere che il teatro vada fuori – continuano i lavoratori – ma con quali soldi sono andati se a noi mancano gli stipendi?».