La caccia al tesoro è iniziata. Da trovare però non ci sono oggetti preziosi o monete d’oro ma documenti processuali. Si tratta di una sorta di giallo giudiziario che ha come protagonista una massiccia dose di carte che vennero sequestrate negli anni passati a due società che si occupavano di smaltimento rifiuti, la Ofelia Ambiente e la Bar Bis Engeenering srl, e ai loro rispettivi titolari, Giuseppe e Alessandro Monaco. Documenti che però in parte «allo stato risultano dispersi».
I due imprenditori sono infatti tra gli imputati insieme ad altre persone tra cui due funzionari della provincia di Catania, con le accuse a vario titolo di gestione di rifiuti pericolosi, abuso d’ufficio e falsità ideologica. Un presunto sistema che avrebbe unito due impianti operativi a Santa Venerina, nei pressi di Acireale, in cui sarebbero stati trattati in maniera non autorizzata dei rifiuti poi smaltiti, secondo gli investigatori, in alcuni terreni nel territorio di Ramacca, in un’area agricola vicino al fiume Gornalunga. Una gestione definita dall’accusa «abusiva» e con processi «assolutamente difformi da quelli previsti», fatta di un lungo elenco di rifiuti pericolosi tra cui fanghi da perforazione contenenti oli, ceneri e scorie pesanti provenienti da impianti di termovalorizzazione di rifiuti speciali e pericolosi, nonché rifiuti da demolizione contaminati da idrocarburi. Giuseppe Monaco figura come imputato anche nell’altro filone dell’inchiesta denominata Ofelia, quella che vede al centro un terreno della zona industriale di proprietà dellEsa, lEnte di sviluppo agricolo della Regione Sicilia, trasformato, secondo l’accusa, in una piccola terra dei fuochi.
Al momento, come confermato in aula dagli avvocati Fabio Anile, Attilio Floresta e Carmelo Galati, sarebbero soltanto sette su 17 i faldoni di cui i difensori hanno precise notizie. «Non siamo nelle condizioni di poterci difendere – ha spiegato al collegio Floresta – siamo davanti a una situazione in cui non ci siamo mai trovati. In mezzo a quei documenti potrebbero infatti esserci quelli che dimostrerebbero la regolarità del lavoro svolto da queste ditte». Dubbi e perplessità che i difensori fecero emergere anche nei mesi precedenti quando, tramite due istanze destinate al magistrato titolare dell’accusa, chiedevano conto dei fascicoli. Richieste tuttavia che non hanno mai ricevuto una risposta.
Ad infittire il giallo sui dettagli della documentazione ci sarebbe anche un verbale redatto dai militari delle fiamme gialle in cui sarebbe stata messo nero su bianco una cattiva conservazione delle carte sequestrate. «Luoghi non idonei» spiega l’avvocato Anile, che avrebbero fatto marcire alcuni fogli a causa dell’umidità. Resta da capire quali. Il verbale infatti sarebbe stato redatto in maniera generica senza indicare quale parte della documentazione sia andata a male.
Il processo, che è stato rinviato a novembre, non è chiaro come andrà a finire. Il pm infatti, come annunciato dal presidente del collegio Ignazia Barbarino (a latere Camilleri e Principato), «proverà a fare un elenco della documentazione reperita o sequestrata e poi riconsegnata alle società». Il rischio, concreto, è quello che il processo sia nato profondamente viziato con l’ombra di un possibile ricorso degli avvocati alla Corte europea dei diritti dell’uomo per far valere il diritto di difesa degli imputati.
C’è poi il problema, ormai quotidiano, dei tempi della giustizia. I fatti contestati risalgono infatti al periodo 2006/2009, considerati i debiti calcoli, la prescrizione non è così lontana.
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