«La resistenza delle comunità è fondamentale per curare le ferite dell’inquinamento delle industrie nei territori». E quella nel territorio del Sin di Priolo è uno squarcio. Che fa del quadrilatero del Siracusano uno dei 42 siti di interesse nazionale, cioè uno dei luoghi più inquinati d’Italia ancora in attesa di bonifiche. Diventato simbolo di ingiustizia […]
Foto di Saline di Priolo
Sin di Priolo, la lotta per i 30 anni di mancate bonifiche: «Non ci si rassegna a vivere in luoghi contaminati»
«La resistenza delle comunità è fondamentale per curare le ferite dell’inquinamento delle industrie nei territori». E quella nel territorio del Sin di Priolo è uno squarcio. Che fa del quadrilatero del Siracusano uno dei 42 siti di interesse nazionale, cioè uno dei luoghi più inquinati d’Italia ancora in attesa di bonifiche. Diventato simbolo di ingiustizia ambientale e sociale, adesso il Sin di Priolo è al centro di un progetto di ricerca sulla Riparazione ecologica di un’antropologa dell’Università di Catania arrivata dalla Germania e sarà l’unica tappa siciliana del tour Ecogiustizia subito: in nome del popolo inquinato organizzato da una rete di associazioni. «Non possiamo rischiare che la gente si rassegni perché è solo con la partecipazione delle comunità locali che può partire un processo di rivoluzione ecologica», dichiara a MeridioNews Enzo Parisi, il referente di Legambiente ad Augusta.
Sito di (poco) interesse nazionale

Ci vuole impegno per non rassegnarsi quando si vive in un territorio che è un Sin dal 1998, ma solo sulla carta. In quasi trent’anni, infatti, le bonifiche non superano il dieci per cento del sito di cui fanno parte il polo industriale di Siracusa con i grandi insediamenti produttivi, lo stabilimento ex Eternit di Siracusa, le zone umide delle Saline di Priolo e Augusta e l’area marina davanti ai porti di Siracusa e Augusta. A essere contaminata non è solo la terra, ma pure l’acqua: piombo, mercurio, idrocarburi, pirite, metalli pesanti.

«Poco più di 5000 sono gli ettari contaminati dell’area a terra – spiega Parisi – Di questi solo il dieci per cento è stato messo in sicurezza». Peggio è andata ai 10mila ettari di fondali marini contaminati: «Non è mai stato bonificato nemmeno un centimetro quadrato», sottolinea il referente di Legambiente. Senza considerare quello che succede dove terra e acqua si incontrano. «Le falde sono inquinate e lungo la zona costiera le industrie hanno disseminato migliaia di pozzetti che tirano su l’acqua e la dovrebbero bonificare prima di restituirla al sottosuolo». Ma, con gli impianti di depurazione sotto sequestro per il disastro ambientale, il condizionale è d’obbligo.
La riparazione ecologica
Come d’obbligo dovrebbe essere la riparazione ecologica. «Un concetto difficile da definire: bisogna parlare con le persone del luogo per riempirlo insieme». Ne è convinta Luisa Mohr, antropologa arrivata dalla Germania e dottoranda dell’Università di Catania che lo ha messo al centro della sua ricerca Amplificatori di urgenza: il futuro della riparazione ecologica nella Sicilia tardo-industriale. «Riguarda – spiega Mohr a MeridioNews – il modo in cui diversi attori economici, sociali e politici locali stanno rispondendo all’urgenza climatica nel contesto di anni di sfruttamento dei combustibili fossili e come stanno lavorando in modo creativo verso un futuro ecologico». Un sguardo esperto ed esterno che è spinta all’azione. «I laboratori partecipati con le persone del territorio – racconta l’antropologa – stanno funzionando bene». Un segnale contrario allo stereotipo del disinteresse locale per il Sin di Priolo dove, secondo Mohr «la riparazione ecologica è già iniziata con le associazioni e i comitati che fanno da pungolo alle istituzioni che devono assumersi le loro responsabilità».
Chi inquina paga
E a fare da monito ci pensano le associazioni (Acli, Agesci, Arci, Azione Cattolica, Legambiente e Libera) con la campagna Ecogiustizia subito che verrà presentata oggi nella sede del Cerchio – Centro studi arti e scienze a Siracusa (in via dell’Arsenale, 38A). «L’obiettivo è di ottenere impegni concreti sulle bonifiche, di ristabilire il principio secondo cui “Chi inquina paga”, affermare il diritto alla salute delle persone e puntare a uno sviluppo sostenibile, ambientale, sociale ed economico del territorio». Punti del patto di comunità che i cittadini dell’area del Sin di Priolo sottoscrivono «per prendere l’impegno – spiega il referente di Legambiente – di portare avanti la battaglia per le bonifiche mai realizzate e per la riconversione industriale».