Foto di Legambiente

La Sicilia è un gigante dai piedi d’argilla. Alluvioni, esondazioni e frane: «Colpa pure degli abusi edilizi»

La Sicilia è tra le regioni più colpite da allagamenti per piogge intense, esondazioni fluviali e frane negli ultimi anni, con una situazione particolarmente critica nelle città di Palermo e di Agrigento. È un dato che emerge dal Rapporto città clima 2023 speciale Alluvioni realizzato da Legambiente. «Troppo spesso – commentano dall’associazione ambientalista – la crisi climatica e gli eventi estremi sono serviti a giustificare una pessima gestione del territorio, a nascondere un eccessivo consumo di suolo e la mancanza di politiche coraggiose per fronteggiare il dissesto idrogeologico. Gli effetti sono sempre più violenti e l’urgenza di intervenire è sotto gli occhi di tutti». Specie nel Meridione, e in particolare nell’isola, l’emergenza climatica aggrava una situazione di rischio causata dall’abusivismo edilizio in aree già pericolose. Poche demolizioni e tanti colpevoli rimasti impuniti.

Il primato di Palermo e Agrigento

L’Italia è tra i Paesi più esposti ai rischi idrogeologici di tutto il continente europeo, tanto da guadagnarsi l’appellativo di gigante dai piedi d’argilla. Dal 2010 al 31 ottobre del 2023 – l’arco temporale preso in considerazione dal report di Legambiente – sono stati registrati dalla mappa dell’osservatorio Città Clima 684 allagamenti da piogge intense, 166 esondazioni fluviali e 86 frane dovute a piogge intense, che rappresentano il 49,1 per cento degli eventi. Tra le regioni più colpite dalle alluvioni c’è la Sicilia (insieme a Lazio, Lombardia ed Emilia-Romagna); mentre tra le grandi città spiccano Agrigento (con 15 episodi) e Palermo (con 12 casi), oltre a Roma, Genova e Napoli. Tra i territori maggiormente interessati dalle esondazioni fluviali, c’è anche Sciacca (in provincia di Agrigento) con quattro casi. Peggio fa solo la città di Milano, dove le esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro in questi anni sono state circa una ventina, di cui l’ultima a fine ottobre.

Il caso messinese

I circoli di Legambiente del Messinese, dopo avere esaminato le trasformazioni del territorio degli ultimi anni e analizzato le conseguenze disastrose, hanno lanciato l’allarme sul rischio per l’incolumità della popolazione in caso di piogge abbondanti, soprattutto nel periodo autunnale. Fenomeni che non sono dovuti soltanto ai fattori climatici ma soprattutto a «errori antropici che hanno provocato un dissesto generalizzato», come si legge nel report. In particolare, sono i territori collinari di Santa Lucia e San Filippo a essere interessati dal dissesto idrologico e idrogeologico. Una situazione che, stando a quanto messo nero su bianco dagli ambientalisti, dipenderebbe da «cattiva regimentazione delle acque meteoriche, disboscamento, assenza di vasche di drenaggio di saie e casse di espansione. Per questo – sottolineano – è necessario un attento lavoro di analisi e un vasto intervento di ripristino degli equilibri idrologici ed idrogeologici».

Eventi estremi e anomali

L’inverno 2021-22 è stato dichiarato dalla Società meteorologica italiana «tra i più estremi mai registrati in termini di caldo e deficit di precipitazioni». Che, oltre a essere scarse, sono state anche anomale: più del 20 per cento di precipitazioni in più rispetto alle medie si sono verificate in gran parte della Sicilia. Tra i casi più gravi ci sono quelli della fine di ottobre del 2021 quando nella parte orientale dell’isola furono raggiunti oltre 250 millilitri di pioggia in poche ore. Un ‘eccezionale ondata di maltempo che ha coinvolto soprattutto le province di Catania, Messina e Siracusa provocando anche tre morti: marito e moglie a bordo di un’auto lungo le strade trasformate in fiumi a Scordia (nel Catenese) e un uomo rimasto incastrato sotto una macchina a Gravina di Catania.

Il dimezzamento del governo e le proposte di Legambiente

«In un quadro come quello appena descritto – è il commento di Legambiente – stupisce la decisione da parte del governo Meloni di rimodulare il Pnrr (il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr) con il dimezzamento delle somme destinate a contrastare il dissesto idrogeologico». Si è passati, infatti, da 2,49 miliardi a 1,203 miliardi, in un Paese dove si sono spesi in media oltre 1,25 miliardi l’anno per la gestione delle emergenze. «È urgente definire una nuova governance che abbia una visione più ampia di conoscenza, pianificazione e controllo del territorio. Quattro sono le priorità da cui ripartire – concludo dall’associazione ambientalista – serve approvare il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnac), una legge contro il consumo di suolo, superare la logica dell’emergenza agendo invece sulla prevenzione, definire una regia unica da parte delle Autorità di bacino distrettuale che preveda anche una maggiore collaborazione tra gli enti».


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