Serena Ganci presenta il suo ultimo lavoro «Il mio progetto a metà tra teatro e musica»

Serena Ganci, cantautrice palermitana classe ’79, pubblica nel 2008 il suo primo disco Scirocco con il nome in arte Serenella, distribuito da Fnac. Nel luglio 2008 l’album esce in Italia distribuito da Family Affair e riceve ottimi consensi da parte della critica e della stampa musicale nazionale. Del 2011 è il suo secondo disco Divento viola, che la vede in duo nel progetto Iotatòla con Simona Norato.

Serena, raccontaci di questo nuovo progetto musicale che hai presentato in anteprima al Record Store Day

«Gli ultimi tre, quattro anni mi hanno vista in collaborazione con la regista Emma Dante in un primo lavoro che abbiamo fatto insieme dal titolo Io, nessuno e Polifemo, in cui ho scritto le musiche ed ero in scena. Questo matrimonio con il teatro di Emma Dante ha funzionato talmente bene che mi ha chiesto di continuare a collaborare con lei. Ho lavorato per la scuola del Teatro Biondo, ho scritto le musiche per lo spettacolo Odissea, ora stiamo lavorando alla regia per Le Baccanti per l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. È stato così che ho fatto il mio ingresso nel mondo del teatro, un mondo nel quale mi sono subito sentita a mio agio, un ambiente che corrispondeva alla mia personalità musicale».

Hai quindi riscoperto una parte di te?

«Sì, sono sempre stata una persona che ha vissuto la musica in un modo teatrale quindi ritrovarmi dentro questo mondo è stato un tornare a casa ed anche uno stimolo interessante per tutta la mia nuova scrittura, perché nulla, credo, avvenga per caso. Le esperienze che fai nella vita ti portano a sviluppare delle nuove cose, delle nuove idee. Negli ultimi tempi in cui sono stata impegnata con il teatro, in sordina, nel mio intimo, ho cominciato a scrivere delle cose molto intime. Venivo dal progetto Iotatòla con Simona Norato, un progetto molto power e anche un po’ figo e divertente che mi ha dato tantissimo. Dopo la separazione con Simona e attraverso il lavoro con Emma Dante ho cominciato a far pace con la parte più intima di me, ho cominciato a scrivere senza pensare a niente, senza pensare a chi le avrebbe ascoltate, o se sarebbe stato più o meno interessante per il pubblico. Ho scritto per me e questo ha conciso anche con la mia maternità. Quando arriva un figlio succede qualcosa nella tua persona che ti cambia interiormente, sia da un punto di vista logistico, nel senso che hai meno tempo per te quindi in tutto il tempo disponibile cerchi di concentrarti e fare delle cose diventando più produttiva; dall’altro lato questo avvenimento snoda delle cose emotive in cui entri a far pace con i tuoi sentimenti perché incontri l’amore vero.

Come sei arrivata poi a questo progetto?

«Noi cantautori abbiamo sempre il timore di esprimerci, penso sia una cosa di tutti i cantautori, che si può racchiudere in questa frase: “Nessuno riesce a dire più ti amo figuriamoci dentro una canzone”. Tutti questi avvenimenti nella mia vita mi hanno portata a svincolarmi da tante sovrastrutture così da farmi immergermi in una nuova scrittura, che tenevo sempre in casa e non volevo portare fuori. Era un’esigenza artistica quella di scrivere, c’erano dei momenti in cui ne sentivo il bisogno. Ho incontrato in un secondo momento Gabrio Bevilacqua, il contrabbassista con cui lavoro, che era stato fuori per molto tempo. A lui ho confidato con la timidezza di una bambina di aver scritto delle nuove canzoni. Lui ha accolto piacevolmente questa mia confidenza, stimolandomi nel portarle fuori suonandole. Erano della canzoni che avevo vissuto in un modo molto intimo, pensai che erano delle cose molto diverse da quelle che fino a quel momento la gente aveva ascoltato di me. Avevo una certa riservatezza, che non era né una sensazione di paura né di timidezza. Lavorando con Gabrio ho iniziato ad ascoltare queste nuove produzioni fuori da me perché quando lavori con qualcuno le cose prendono uno spazio diverso. Arrivai così alla decisione finale di realizzarle, e stasera, a casa mia, a Palermo, in occasione del Record Store Day, che ho ritenuto essere l’occasione migliore per una prima uscita, ho portato in anteprima questo mio progetto, che ha ricevuto inoltre un feedback piacevolissimo: la gente era lì con me, attenta a quello che volevo esprimere, questa cosa è stata magica e molto bella per me. In questo nuovo lavoro ho respirato la libertà di essere me stessa fuori dalle logiche discografiche, questa libertà mi è piaciuta molto perché corrisponde alla mia personalità. La mia scrittura ora è libera, non so se discograficamente questo nuovo lavoro si piazzerà ma questo non è importante».

Che nome hai dato a questo progetto?

«L’ho chiamato Musica da camera per canzoni semplici, perché le canzoni sono semplici, partono da una semplicità di composizione perché tutte a tema amoroso, che poi è l’argomento che ci tocca e ci toccherà tutti per sempre. Non mi interessa più fare il lancio del ritornello di stampo pop radiofonico, questo nuovo progetto richiede una dimensione di ascolto tipico della musica da camera. Penso che chi ha voglia di ascoltare possa tornare a casa con qualcosa, e se questo succede penso di essere riuscita nel mio intento».

Cos’è per te l’arte? C’è un aneddoto o un’esperienza particolare che lega la tua vita alla musica?

«Io ho partorito cantando, è stata un’esperienza incredibile. Ho fatto una ricerca su questa cosa per capire meglio, perché mi ero chiesta se fossi diventata pazza o se si trattasse di una cosa reale. Ho scoperto che nella tradizione indiana esiste questa esperienza del canto legato al parto. Io adesso lavoro nei corsi pre-parto dove faccio cantare le donne in gravidanza. Il mio modo di vivere la musica è trasversale, io voglio portare la musica lì dove non c’è, questo è il mio obiettivo. Ho portato la musica in un teatro che non è un territorio musicale, in sala parto, ho fatto diversa musica per film in questi anni e mi piace questa idea di andare a portare un linguaggio in un posto che questo linguaggio non lo conosce. Sento che in me, per come vivo la musica e l’arte questo connubio funziona benissimo quindi mi piacerebbe continuare a fare arte con questo intento. Se dovessi rispondere alla domanda «Cosa ti piacerebbe fare?», risponderei: «Pubblicare un disco e avere ai miei concerti quel numero ristretto di persone che vengono per la voglia di stare con me».

Cosa pensi del mestiere dell’artista?

«C’è dentro di noi una sfida, un travaglio nel decidere di fare i musicisti come mestiere. È una grande responsabilità. Io questa responsabilità me la sono presa e mi ritengo molto fortunata e privilegiata, ho avuto e sto avendo l’opportunità di lavorare nel mio settore e di non dover fare un altro lavoro».

Lilia Ricca

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