Dopo 13 anni non si è ancora conclusa una delle vicende giudiziarie – nei suoi vari filoni – più importanti di Catania: il processo per associazione mafiosa all’imprenditore etneo Sebastiano Scuto, re dei supermercati, con quello che ormai è l’ex impero Despar. Accusato – tra i tanti fatti contestati – di aver fatto affari con il boss Bernardo Provenzano e i fratelli Lo Piccolo per la gestione di alcuni centri commerciali a Palermo. Ma la corte di Cassazione ha annullato la condanna a 12 anni emessa dalla corte d’Appello ad aprile 2013 proprio sulla parte che riguarda questa accusa e ha disposto il rinvio a un’altra corte.
L’anno scorso i giudici avevano ribaltato la sentenza di primo grado – emessa nel 2010 – che condannava Scuto a quattro anni e otto mesi di reclusione per aver fatto accordi con la mafia, ma non nel caso dei centri commerciali di Palermo. Un impianto a cui non ha creduto la corte d’Appello etnea che ha invece confermato tutte le accuse dei magistrati, disponendo anche la confisca dei beni dell’imprenditore del gruppo Aligrup. Una decisione che non ha intimorito i legali della difesa, Guido Ziccone e Giovanni Grasso, la cui linea resta sempre la stessa da anni: più che un associato, Scuto sarebbe una vittima delle estorsioni mafiose. Adesso, con la decisione della Cassazione, per i legali arriva una vittoria parziale.
Salvi, per il momento, anche i beni dell’imprenditore. Un patrimonio di diverse centinaia di milioni di euro composto da beni immobili e quote societarie di proprietà anche dei familiari più vicini la cui confisca è stata in parte annullata e per un’altra parte si dovrà invece attendere il verdetto della nuova corte d’Appello. Sugli stessi beni, però, pende da aprile un’altra richiesta di confisca da parte della procura generale di Catania, ancora una volta davanti a una corte d’Appello. La prossima udienza è prevista per il 25 giugno.
Dallarresto di Scuto nel 2001 alla condanna in primo grado ci sono voluti nove anni, ma si è corso il rischio di non celebrare affatto il processo. In quell’anno infatti la procura catanese aveva chiesto larchiviazione per la posizione dell’imprenditore, richiesta respinta dal gip. Linchiesta venne quindi avocata dalla procura generale etnea che rilevò «inerzia e mala gestio» nelle indagini dei magistrati. Secondo laccusa, limprenditore avrebbe condotto i suoi affari soprattutto grazie al rapporto con il clan Laudani. Dopo larresto, il gruppo Aligrup rimane per nove anni in amministrazione controllata. Solo nel 2010, con la sentenza di primo grado, l85 per cento delle quote vengono restituite alla famiglia Scuto, mentre il restante 15 per cento viene confiscato. È in questo arco temporale che lazienda, in mano allo Stato, priva dei canali preferenziali di cui aveva goduto, si indebita fino alla cifra attuale di 150 milioni di euro.
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