Polizia e Guardia di Finanza hanno ha fermato sei cittadini stranieri: tre del Gambia, due del Senegal e un nigeriano, perché si sarebbero trovati alla guida dei quattro gommoni che, in condizione di fortuna, stavano effettuando la traversata del Mediterraneo con a bordo, complessivamente, 482 migranti partiti dalla Libia. Questi ultimi erano stati tratti in salvo dalla nave Dattilo della Guardia Costiera aveva condotto al porto di Palermo 1049 migranti provenienti da sei distinti salvataggi. Insieme ai migranti salvati, su uno dei gommoni intercettati, sono stati rinvenuti i cadaveri di altri dieci passeggeri su cui sono ancora in corso gli esami autoptici. Gli uomini della Guardia Costiera, già durante le fasi di trasbordo degli stranieri, avevano raccolto elementi utili al riconoscimento degli scafisti, documentando, inoltre, con video alcune fasi significative della vita di bordo.
La successiva attività investigativa condotta dagli agenti della squadra mobile, del Gico e della stazione navale della Guardia di finanza, con il coordinamento del procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Maurizio Scalia e dal sostituto procuratore Paola Caltabellotta della Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni, condotta effettuando attraverso le audizioni di alcuni migranti – passeggeri e testimoni della tragica traversata – e le indagini, ha condotto a ulteriori esiti e all’individuazione di sei scafisti. È emerso come le associazioni criminali che organizzavano i viaggi utilizzassero sempre le stesse modalità di approccio alla traversata: i migranti prima di esser fatti salire a bordo dei gommoni, venivano condotti in locali fatiscenti sulle coste libiche, con scarse razioni di cibo e sotto vigilanza armata, per essere poi trasferiti sui natanti attraverso piccole imbarcazioni, poco alla volta.
I racconti degli stranieri hanno fotografato le difficoltà e la precarietà che hanno caratterizzato il viaggio, ma anche le condizioni di approssimazione dei natanti e dei loro conducenti, spesso improvvisatisi timonieri senza avere alcuna preparazione. È stato il caso di uno dei fermati, diciassettenne, che si è messo alla guida di uno dei sei natanti, a bordo del quale sono stati rinvenuti dieci cadaveri, tra cui quelli di tre bambine. I testimoni hanno raccontato che i timonieri avrebbero appreso da altri componenti della banda criminale poche elementari nozioni di navigazione, soltanto pochi minuti prima di partire e a bordo degli stessi natanti.
Emblematico, così come riferito agli inquirenti, che lo stesso ‘baby scafista’ fosse conosciuto a terra dagli altri componenti come capitano. Quest’ultimo dovrà rispondere anche di omicidio, per via dei ai dieci cadaveri rinvenuti sul gommone di cui era timoniere. Durante la navigazione, quando il natante, stracolmo e in condizioni di pericolo estremo, aveva imbarcato una notevole quantità di acqua, il giovanissimo scafista ha scorto in lontananza la nave dei soccorsi. A quel punto ha tentato di confondersi tra i migranti. In queste fasi frenetiche ha fatto rovesciare sul fondo del gommone diverse taniche di carburante, le cui esalazioni hanno stordito alcuni malcapitati che, cadendo a terra, sono rimasti soffocati dall’acqua accumulatasi sul fondo dell’imbarcazione e ripetutamente calpestati dalla massa di altre persone che tentavano di guadagnare la salvezza.
I sei fermati dovranno rispondere del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (il più giovane, come detto, anche di omicidio). Dopo gli accertamenti di rito, i cinque maggiorenni sono stati reclusi nel carcere Pagliarelli, mentre il minore è stato associato al centro di prima accoglienza Malaspina.
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