Sant’Agata, ecco il bando per capovara «Festa più sicura», ma resta sos legalità

La festa di Sant’Agata è ormai alle porte e, a poco meno di un mese dall’inizio delle celebrazioni, l’arcivescovado catanese introduce il regolamento per il conferimento dell’incarico di maestro del fercolo. Di cosa si tratta? Di un insieme di norme e specifiche che regolano le figure del capovara e dei suoi collaboratori, emanata dall’arcivescovo per dare un taglio all’iter che, fino allo scorso anno, prevedeva la nomiva a tempo inderminato e non regolamentata del responsabile del fercolo della Santuzza. «Una piccola rivoluzione, per adeguare la tradizione ai tempi di oggi» dice il parroco della Cattedrale e delegato arcivescovile monsignor Barbaro Scionti. Ruolo, quello del capovara, da svolgere con «responsabilità e competenza, rispettando la legge di Dio e quella dell’uomo, e che serva a garantire le norme civili e di sicurezza». Il responsabile della vara dovrà vigilare affinché la processione segua il giusto andamento, controllando, ad esempio, la velocità delle varie tappe della marcia, le soste e il carico e scarico della cera. Alla legalità – da sempre punto debole della festa – solo un accenno fugace.

Il cambiamento riguarda soprattutto la sicurezza nel corso della tre giorni in onore della Patrona etnea, dopo le polemiche che hanno seguito la morte nel 2004 del giovanissimo Roberto Calì, travolto dalla folla all’alba del 6 febbraio ai piedi della salita di Sangiuliano. Il processo per chiarire le dinamiche dell’incidente ha confermato, per tutti i gradi di giudizio, la colpevolezza di Alfio Rao, storico ex capovara delle celebrazioni agatine, condannato lo scorso anno a quattro mesi con la condizionale e al risarcimento dei danni del valore di settecentomila euro alla famiglia Calì per omicidio colposo. Dopo le dimissioni di Rao, lo scorso anno la nomina a maestro di fercolo è passata in tutta fretta a Claudio Baturi, che rimarrà in carica, secondo le nuove nuove norme, fino al 2014.

Dal 2015, la nomina del capo mastro avrà durata di tre anni e l’incaricato sarà obbligato ad «osservare le leggi ecclesiatiche e civili, nonché i provvedimenti delle autorità civili ed amministrative». Il capovara, inoltre, è nominato dal delegato arcivescovile e opera «in concerto e sotto le direttive di quest’ultimo». La regola da rispettare, secondo monsignor Scionti, sono sostanzialmente due: «Deve essere un buon cristiano, secondo le direttive del diritto canonico, e un onesto cittadino». Requisito, quest’ultimo, che suonerebbe come una rivoluzione. «Dovranno avere la fedina penale pulita: dettaglio del quale non possiamo fare a meno di tenere conto» assicura il religioso. Stesso discorso per i 12 responsabili, scelti di concerto col delegato arcivescovile e non necessariamente facenti parti di associazioni agatine, che lo aiuteranno a svolgere le funzioni a lui affidate dall’arcivescovo. I responsabili possono inoltre nominare alcuni collaboratori, scelti dopo il vaglio dell’arcivescovado. Per loro, però, le regole saranno meno ferree anche dal punto di vista penale perché «il loro ruolo si limita ad un contributo che la Chiesa non può negare – sottolinea il monsignore-. Nessuno è perfetto, tutti hanno fatto degli errori, a patto però che in carica si rispetti la legge».

Gli incarichi, infatti, in caso di inosservanza di responsabili e collaboratori, possono essere revocati in qualsiasi momento e cessano comunque con la conclusione del mandato del maestro del fercolo. Le nomine, infine, non sono a titolo remunerativo, quindi nessuno degli addetti alla vara e al busto reliquiario percepirà alcuna forma di pagamento stipendiale.

Al di là dei requisiti generici fissati nel testo del regolamento, i criteri di scelta non sono ancora stati stabiliti nel dettaglio. Per i prossimi due anni il ruolo resterà di Baturi, dopodiché si procederà con i nuovi incarichi. «Per quella data – assicura il delegato arcivescovile – si valuterà tra i possibili candidati e si vedrà in base a cosa scegliere».

E proprio la garanzia dell’integrità dal punto di vista penale del responsabile della vara e dei suoi collaboratori potrebbe essere un piccolo primo segnale a garanzia di legalità e trasparenza nella celebrazioni agatine, negli ultimi anni coperte da ombre e veleni. Il processo per la morte di Roberto Calì, infatti, non è l’unica inchiesta della magistatura che pesa, tra polemiche e malumori, sulla festa di Sant’Agata. Nel 2008, infatti, sulle celebrazioni agatine è piombata l’ombra delle presunte infiltrazioni mafiose. La festa, secondo quanto emerso dalla indagini dei magistrati catanesi, da una decade a questa parte subirebbe le ingerenze delle famiglie Santapaola e Mangion, sospetti confermati in aula anche dalle dichiarazioni di alcuni pentiti. La mafia, oltre a gestire gli affari di cera e fuochi pirotecnici, avrebbe anche interferito sulla macchina organizzativa, sul percorso e sui tempi della processione, alimentando il business delle scommesse, ad esempio, sul rientro in cattedrale della Santa. Infiltrazione mafiosa che si sarebbe concretizzata all’interno dell’associazione cattolica Circolo di Sant’Agata, che svolge da sempre un ruolo di punta nell’organizzazione delle celebrazioni. Secondo quanto emerge dai verbali del circolo, infatti, la tessera numero uno appartiene a Nino Santapaola e il secondo firmatario è Vincenzo Mangion.

Appurato il passo avanti dal punto di vista della sicurezza, il regolamento per il conferimento dell’incarico di capovara apporta però ben pochi cambiamenti a garanzia della legalità. «La nostra responsabilità ricade fino ad un certo punto rispetto a tutto quello che si muove intorno alla festa di Sant’Agata – ammette monsignor Scionti -, che coinvolge tutta la città, non solo le autorità religiose. Ognuno deve fare la sua parte. Dal canto nostro – prosegue il religioso – possiamo impegnarci ad operare in rapporto di sintonia con le autorità civili e militari». Sugli altri fronti, però, tutto tace, nonostante in molti abbiamo chiesto più chiarezza per pulire la festa e liberarla da ombre e polemiche.

Tra i più attivi nell’opera di denuncia spicca il Comitato per la legalità – fondato da diverse associazioni, tra le quali la Fondazione Giuseppe Fava, Libera e Addio Pizzo – che da tempo si impegna nel sottolineare le diverse emergenze legate alle celebrazioni in onore della Santuzza. «Capisco le loro istanze e comprendo i malumori. Bisogna sempre vigilare – ammette il delegato arcivescovile – ma non è vero che non è stato fatto nulla: la colpa è da imputare ai tempi lunghi della burocrazia e ad una mentalità che, in questa città, non si cambia facilmente».

E sulle presunta presenza mafiosa all’interno della festa, la posizione della chiesa etnea resta sempre la stessa: «Non siamo qui per cacciare la persone, non possiamo chiedere il certificato penale a chiunque chieda di entrare in un’associazione religiosa – sottolinea Scionti -. La Chiesa non può imporre questi limiti, ma siamo chiamati a pronunciarci affinché i suoi membri siano dei buoni cittadini, rinnovando le coscienze e fissando delle regole che ci impegneremo a far rispettare». Un giorno.

[Foto di Leandro’s World Tour]


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