Sant’Agata ’19, un documentario racconta la festa Sotto un altro vulcano, la fede tra Napoli e Catania

«È potente, emozionante, sconvolgente. Ti dicono che è la terza festa cristiana più importante al mondo, ma finché non sei lì non ci credi». La festa che la giornalista napoletana Lucilla Parlato ha vissuto da vicino è quella dei tre giorni di Sant’Agata, raccontati, insieme a Federico Hermann e Barbara Mileto, nel documentario Sotto un altro vulcano – Sant’Agata a Catania, che sarà proiettato stasera al Museo Diocesano di Catania. A spingere la fondatrice del quotidiano napoletano Identità insorgenti a conoscere i riti e le tradizioni legati a Sant’Agata è la curiosità per il rapporto che i catanesi hanno con la Santuzza. «Molto diverso da quello che i napoletani hanno con San Gennaro», spiega Parlato.

Sotto un altro vulcano arriva infatti dopo il primo documentario della testata giornalistica online, Sangue di un popolo, lavoro che racconta i Giorni dei Fazzoletti del 2016 nel capoluogo campano, quando i cittadini scesero in strada per manifestare in favore della laicità della Cappella del tesoro di San Gennaro, messa in pericolo da un decreto del Ministero dell’Interno che voleva equipararla a un bene della Chiesa. «Napoli e Catania sono due città per me gemellate – afferma la giornalista -. Entrambe sorgono ai piedi di un vulcano e questo rende i loro abitanti fatalisti e disposti a vivere con addosso un senso di precarietà».

Lucilla Parlato fonda Identità insorgenti nel 2014. Dopo vent’anni trascorsi a Roma, la giornalista decide di tornare nella sua città e di fondare un quotidiano che possa raccontare il Sud e contribuire a tutelare l’identità di quelle terre. «Noi meridionali siamo nell’immaginario comune i terroni del giornale di Feltri o gli sfaticati che approfitteranno del reddito di cittadinanza – commenta Parlato -. In pochi sanno che qui c’è gente che si rimbocca le maniche ogni giorno, che si aggrega e lotta per difendere ciò in cui crede». Identità insorgenti è un collettivo di scrittori e giornalisti che non si occupa solo di cronaca napoletana, ma che ha raccontato le battaglie della Terra dei fuochi, dell’Ilva di Taranto, degli impianti inquinanti dell’Eni di Gela, del no Muos in Sicilia e dei No Tap in Puglia. «Quando la narrazione della tua terra è mainstream devi raccontare quello che accade intorno a te andando a fondo. Senza fare copia e incolla dalle pagine su internet. Ma sentendo le persone, arrivando alle radici e all’identità di una comunità, perché solo avendo coscienza della propria storia si possono avere gli strumenti per reagire e per allontanare dal Sud un’immagine che non gli appartiene».

Lucilla Parlato e i suoi collaboratori sono arrivati nel capoluogo etneo qualche giorno prima dell’inizio della festa del 2018 per sentire le voci della città. «Gli artigiani, gli archeologi, i religiosi e gli storici. Spesso non era neanche necessario fare delle interviste – spiega Parlato –. Eravamo lì tra la gente e quando mi interrogavo su cosa stesse accadendo o quali fossero i significati di determinati passaggi della festa, subito una devoto si avvicinava per raccontarmi la storia di quei gesti». Un momento resta tra i ricordi di Lucilla più degli altri. »Facevamo le riprese da una terrazza sopra piazza Stesicoro e ho visto la folla di devoti dietro la Santa. Era un fiume di gente e non si vedeva né dove iniziava né dove finiva». Secondo la giornalista Napoli e Catania vivono in modo molto diverso il rapporto con il loro patroni. «A Napoli il legame con San Gennaro era molto forte agli inizi del Novecento, quando il vulcano era attivo e si cercava un’entità a cui affidarsi – spiega Parlato -. Negli anni questo rapporto si è raffreddato, adesso i devoti sono presenti in gran numero davanti alla chiesa del Duomo, ma tutto dura circa due ore, la processione per il santo non si fa più tre volte all’anno come una volta».

All’ombra dell’Etna, invece, Parlato avrebbe avvertito uno spirito diverso. «A Catania il significato che la Santa ha per la città è totalmente diverso. Molto più forte e soprattutto molto più cosciente. Tutte le persone che partecipano alla processione conoscono ogni dettaglio della storia di quella festa». Tra le tante testimonianze Parlato ricorda quella di un artigiano. «Un pasticcere mi ha detto di non essere credente, ma che nei giorni della festa non poteva che essere lì per la strada perché anche lui sentiva Sant’Agata. Questo è quello che la festa rappresenta, un momento che unisce la collettività».


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